Chi volesse farsi un’idea dei progressi compiuti dal Belgio negli ultimi dodici mesi può paragonare i discorsi che Alberto II ha rivolto alla nazione il 20 luglio del 2011 e del 2012 - a patto, naturalmente, di avere la pazienza di seguire oltre venti minuti di allocuzioni regali.

Un anno fa il Belgio era sull’orlo dell’estinzione. Il paese era senza governo da più di tredici mesi, i partiti che avrebbero dovuto negoziare la riforma dello stato sembravano paralizzati, il leader dei nazionalisti fiamminghi Bart De Wever faceva il bello e il cattivo tempo. Contrariato, il re aveva rivolto ai cittadini, in particolare ai politici, un’accalorata ramanzina in occasione della festa nazionale belga, con tanto di vocione (nei limiti imposti dal suo rango) e minacciosa levata di indice.

Quest’anno Alberto II sembrava rinato. In tono sereno, si è rallegrato della “ritrovata credibilità” del Belgio. I partiti che sembravano negoziare a vuoto hanno raggiunto l’accordo sulla sesta riforma dello stato (l’espressione “work in progress” dev’essere nata per descrivere il Belgio), Elio Di Rupo è diventato il nuovo capo del governo e il 13 luglio la camera ha approvato il primo capitolo della riforma istituzionale, quello sulla scissione dell’unica circoscrizione elettorale bilingue del paese, Bruxelles-Hal-Vilvorde. Tutto liscio comme sur des roulettes, quindi?

**Non proprio. **A preoccupare non sono tanto i due capitoli della riforma che ancora devono essere votati alla camera (trasferimenti di competenze alle entità federate e legge di finanziamento), quanto una data: quella delle prossime elezioni locali, che si terranno il 14 ottobre 2012. Il voto potrebbe infatti assestare due colpi ai difensori del Belgio unito.

Come molti temevano, la lunga crisi politica ha rafforzato il partito dei nazionalisti fiamminghi (N-VA), che in un sondaggio dei primi di giugno raccoglieva il 36,6 per cento delle preferenze di voto nelle Fiandre (contro il 28,5 per cento del giugno 2010). Bart De Wever, quasi irriconoscibile dopo una dieta che lo ha dimezzato, punta a diventare bourgmestre (sindaco) di Anversa, la seconda città più grande del paese. Anche se il partito è scosso da una polemica interna, tra chi vorrebbe continuare ad accogliere ex membri del Vlaams Belang e chi non approva questo sbilanciamento verso l’estrema destra, il trionfo dei nazionalisti a ottobre appare certo. E con il loro trionfo, si tornerà inevitabilmente a parlare della disgregazione del Belgio.

Se ne tornerà a parlare anche per un altro motivo. Il 14 ottobre i cittadini extracomunitari potranno votare alle comunali per la seconda volta da quando, nel 2004, la legge elettorale è stata modificata. In sé è una notizia positiva (dieci paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, continuano a negare questo diritto), ma l’affluenza tra i nuovi elettori si annuncia molto bassa.

Per votare, i cittadini extracomunitari devono iscriversi su delle apposite liste presso il comune di residenza. Nel 2006, su un totale di 108.617 aventi diritto, solo il 15,7 per cento si era iscritto. Ovviamente c’era chi aveva definito la riforma un fiasco, intonando la solfa sul “fallimento dell’integrazione”.

All’epoca i promotori della riforma avevano spiegato che serviva tempo per sensibilizzare le persone all’importanza del voto. Dopo sei anni, però, la situazione è peggiorata: il termine per le iscrizioni è domani, e al 28 luglio si era iscritto solo il 9,26 per cento degli aventi diritto. Mi pare già di sentire i cori di politici ed esperti che tuonano contro “l’islamizzazione del Belgio” e invocano politiche migratorie più severe.

Il quadro è poco allegro, quindi ridiamoci su (grazie, Kroll).

Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale (@ettaspin).

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