06 maggio 2021 15:44

Seguire le lezioni a distanza è un’esperienza che ha messo e sta mettendo alla prova milioni di studenti. E ad averne risentito maggiormente sono gli e le studenti con disabilità.

Secondo un’indagine dell’Istat, tra l’aprile e il giugno 2020 circa settantamila ragazze e ragazzi disabili (più del 23 per cento degli studenti con disabilità) non hanno potuto frequentare le lezioni, contro l’8 per cento degli altri.

Le difficoltà di carattere tecnico e organizzativo, l’incompatibilità della didattica a distanza (dad) con la loro condizione fisica o cognitiva e la carenza di adeguati supporti individualizzati hanno reso veramente complessa la loro partecipazione alle lezioni. Per evitare il ripetersi di questa situazione, il ministero dell’istruzione, durante l’estate e nei mesi successivi, aveva varato diversi provvedimenti affinché gli studenti con disabilità e con bisogni educativi speciali (bes) potessero – a partire dal nuovo anno scolastico – frequentare sempre le lezioni in aula in “condizione di inclusione”, cioè con piccoli gruppi di compagni e in collegamento a distanza con il resto della classe.

Gli istituti hanno dovuto riorganizzarsi di continuo e a farne le maggiori spese sono stati i soggetti meno tutelati

Irene, una studente con disabilità motoria che frequenta il liceo artistico Modigliani a Padova, lo scorso anno scolastico, durante i mesi di lockdown, aveva dovuto interrompere la frequenza delle lezioni a distanza a causa di una crisi epilettica dovuta alla sovraesposizione allo schermo del pc. Da settembre, invece, è potuta rientrare in aula. “Ora, anche quando la mia classe è in dad, io vado a scuola con tre compagni. Lavoro meglio e vedo anche altre persone e questo è positivo”, spiega.

Dal settembre 2020 tutte le scuole avrebbero dovuto seguire queste disposizioni. Invece diversi istituti non sono riusciti a conciliare il rispetto delle norme sul distanziamento sociale con il diritto all’inclusione, consentendo la frequenza in aula ai soli studenti con disabilità oppure rifiutandosi di accoglierli se non vaccinati.

Criticità strutturali
Nel caso delle scuole secondarie di secondo grado, i decreti e le note ministeriali in questi mesi hanno dato disposizioni molto larghe sulle percentuali di accesso di studenti per istituto (dal 50 per cento al 75 per cento), demandando interamente ai singoli dirigenti la scelta delle modalità di ingresso. Per esempio, c’è stato chi ha scelto di far entrare tutte le classi con il 50 per cento di studenti, mentre in altre scuole è entrato il 50 per cento delle classi. È stata autonoma anche la scelta sulla periodicità dell’ingresso dei diversi gruppi, qualcuno ha scelto una turnazione giornaliera, altri una settimanale.

Come denuncia l’osservatorio dell’Associazione italiana persone down sull’inclusione scolastica, questo finora ha comportato che i dirigenti delle superiori – che maggiormente hanno fatto ricorso alla dad da settembre a oggi – abbiano interpretato in modo disomogeneo e non sempre favorevole agli studenti disabili le indicazioni ministeriali rispetto alle percentuali di presenze a scuola. Inoltre, poiché ogni decreto ha avuto vita breve, gli istituti hanno dovuto riorganizzarsi di continuo, e a farne le maggiori spese sono stati i soggetti meno tutelati.

La situazione va contestualizzata all’interno di un quadro più vasto. La scuola italiana, per trent’anni modello di inclusione, da tempo convive con criticità ormai divenute strutturali, tra cui un numero insufficiente di insegnanti di sostegno specializzati, pochi assistenti all’autonomia e alla comunicazione, soprattutto nel Mezzogiorno, strumenti didattici e tecnologici inadeguati o insufficienti e scarsa formazione dei docenti nelle metodologie e tecnologie didattiche inclusive.

“Servono nuove prospettive per la scuola nel suo insieme, un cambiamento che sta cominciando a prendere piede con un nuovo patto di corresponsabilità educativa tra tutti i soggetti coinvolti”, spiega la pedagogista Francesca Palmas, della consulta dell’Osservatorio ministeriale per l’inclusione scolastica. “Senza una presa in carico globale degli alunni da parte di tutti i docenti si lasceranno indietro tutti coloro che non saranno messi nelle condizioni di poter fare, ciascuno in funzione delle proprie caratteristiche e stile di apprendimento”.

Soprattutto perché i ragazzi, con disabilità e non, stanno lanciando segnali di una sofferenza che non si può più ignorare.

Il rispetto delle norme sul distanziamento fa riaprire la riflessione sull’esigenza di nuovi spazi per la scuola

Ma le buone prassi non mancano. Nell’Istituto tecnico industriale Severi di Padova, per esempio, è stata organizzata la frequenza in modo da consentire agli studenti disabili di incontrarsi non solo con i docenti ma anche con i loro compagni, anch’essi presenti in aula. Previo parere favorevole delle famiglie, le classi dove è presente uno studente con disabilità sono state divise in gruppi che hanno frequentato in aula a giorni alterni.

“C’erano dieci-dodici studenti in classe che venivano a giorni alterni, mentre il ragazzo con disabilità veniva tutti i giorni”, spiega Francesco Maracci, collaboratore del dirigente. “Quest’inverno avevamo quattro classi che entravano a scuola in questa modalità. In primavera sono diventate sette perché abbiamo individuato altri ragazzi con difficoltà linguistiche. Alla fine abbiamo comunque rispettato la percentuale del 50 per cento di studenti a scuola. Ora le sette classi in cui c’è un ragazzo con bisogni speciali stanno entrando ogni giorno al completo”.

In questo modo sono riusciti a perseguire il miglior interesse degli studenti con disabilità e contemporaneamente a offrire anche ai loro compagni la possibilità di seguire le lezioni in presenza con più regolarità.

All’Istituto comprensivo di Bosco Chiesanuova, in provincia di Verona, nelle due settimane di dad previste per i primi cicli di scuola, bambini e ragazzi con disabilità nella quasi totalità dei casi hanno frequentato in aula insieme a tre o quattro compagni. “La scelta è stata fatta proprio perché l’ottica è sempre quella del benessere dei bambini che hanno forme di disabilità, soprattutto i casi più gravi. Era una forma di aiuto concreto anche per le famiglie”, spiega Alessio Perpolli, dirigente dell’istituto. Sempre nel rispetto delle norme di sicurezza.

Dal 26 aprile è aumentata la percentuale di studenti che può rientrare in classe, ma la difficoltà di molti dirigenti nel conciliare la presenza di almeno 20-25 ragazzi con le norme sul distanziamento imposte dal Comitato tecnico scientifico riapre la riflessione sull’esigenza di nuovi spazi per la scuola.

Le disposizioni riguardanti gli studenti disabili rimangono invariate e si spera che la riapertura, seppur ancora parziale, renderà più facile rispettarle fino alla fine dell’anno scolastico.

L’indiscutibile diritto alla salute non può essere usato per negare il diritto allo studio. Le scuole non dovrebbero chiedersi se sono nelle condizioni di rispettare le norme ministeriali ma cosa serve mettere in campo per poterlo fare al meglio, al fine di garantire a tutti e tutte pari opportunità.

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