22 maggio 2019 13:06

Ventotto giornalisti raccontano la campagna elettorale nel proprio paese in vista delle elezioni europee del 26-29 maggio 2019. La serie è realizzata in collaborazione con VoxEurop.

Le elezioni europee in Estonia seguono a stretto giro le elezioni legislative di marzo, vinte da due partiti evidentemente liberali che fanno parte entrambi della famiglia politica dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa (Alde).

Il liberalismo dei due partiti non è senza macchia, ma le loro credenziali europee sono state esemplari per gli standard dell’Europa orientale. Il Partito riformatore estone, il più votato, ha governato l’Estonia dal 2005 al 2016, trasformandola in una pioniera del risparmio digitale. Come i riformatori, anche il Partito di centro, arrivato secondo, ha nascoso le sue radici populiste. Nel 2017 il giovane (non giovanissimo) leader del partito, Jüri Ratas, ha guidato con successo il paese durante la prima presidenza di turno dell’Unione europea.

Eppure l’elemento determinante della coalizione tripartitica emersa dopo le elezioni è l’estrema destra. Con appena il 17,8 per cento dei voti, il Partito popolare conservatore estone (Ekre) ha monopolizzato il programma del nuovo governo. Più che dettare le scelte politiche, l’Ekre sta rubando la scena al resto del governo sui mezzi d’informazione. L’estrema destra si è comportata come previsto, vale a dire che non si è placata.

I suoi leader, al contrario, hanno approfittato della partecipazione al governo per continuare a esprimere liberalmente e in modo brutale il loro razzismo, la loro misoginia e la loro omofobia.

Probabilmente l’Ekre otterrà solo uno dei sei seggi che spettano all’Estonia. Si tratterà di un voto di protesta, ma le elezioni le vinceranno il Partito riformatore e i socialdemocratici. Ma questo non avrà alcun significato nel contesto più ampio della politica estone o europea. I ministri dell’Ekre, noti razzisti, parteciperanno ai rispettivi consigli in Europa (tra gli altri, il partito controlla il ministero delle finanze e dell’interno). Il loro obiettivo strategico dichiarato è quello di far cadere l’Unione europea, non distruggendola ma azzoppandola e portando indietro le lancette dell’integrazione agli anni cinquanta.

Gli ultimi sviluppi fanno pensare che in Estonia le libertà siano ancora istituzionalmente deboli

Ci sono tre elementi che vanno chiariti per contestualizzare la situazione estone all’interno del panorama europeo. Il primo riguarda il modo in cui l’Ekre, nonostante abbia conquistato appena il 17,8 per cento dei voti, sia riuscito a prendere in ostaggio il resto del corpo politico estone, in maggioranza liberale. L’Estonia non è l’Ungheria o la Polonia, paesi dove l’estrema destra ha assunto il controllo della società vincendo le elezioni. Nel caso estone è stato determinante l’opportunismo del primo ministro Ratas. Nessun’altra coalizione, infatti, gli avrebbe permesso di conservare il potere.

Questo però non spiega la rapidità con cui i vertici dei mezzi d’informazione e i funzionari pubblici sembrano essersi piegati al volere dell’Ekre. Oggi i giornalisti più scomodi vengono licenziati e i ministeri cambiano improvvisamente le loro priorità per non offendere la sensibilità della destra. Questo evidenzia un malessere più profondo nella società estone, dove la libertà, inclusa quella dei mezzi d’informazione, appare scontata dopo la caduta dell’Unione sovietica. E invece gli ultimi sviluppi fanno pensare che in Estonia la libertà sia ancora istituzionalmente debole, come dimostra il fatto che i tentativi di ripristinare la censura non incontrino particolare resistenza.

Fragilità democratica
In secondo luogo, in Estonia l’estrema destra domina nei commenti sui social network e nei portali d’informazione (quasi sempre senza moderatori) nonostante i suoi aderenti online siano una minoranza nella società estone. Questa situazione, tra l’altro, sembra averli convinti di costituire una minoranza ingiustamente messa a tacere.

Dunque, alla gran parte dei paesi dell’Europa centrale e orientale sembrano mancare le istituzioni necessarie per ostacolare l’assalto dell’estrema destra ai valori liberali e democratici. Questi paesi rappresentano al contempo una debolezza e una minaccia per il resto dell’Unione europea, perché a quanto pare al loro interno la democrazia può sopravvivere solo grazie alle pressioni esterne.

Sembra di vedere i figli della guerra fredda divorare la rivoluzione che gli ha regalato la libertà

Quando le pressioni si sono ridotte, durante le crisi successive al 2005, le istituzioni dello stato di diritto hanno vacillato, e i leader più vicini all’estrema destra hanno cominciato a usare le istituzioni comunitarie contro la stessa Ue. Questo ha permesso ad attori esterni come Vladimir Putin e Donald Trump di alimentare e sfruttare le tensioni interne dell’Europa.

Minaccia a lungo termine
Da questa prospettiva sembra quasi di vedere i figli della guerra fredda divorare la rivoluzione che gli ha regalato la libertà. Si potrebbe sostenere che i primi germi della crisi dei migranti in Europa occidentale siano stati piantati con le guerre in Jugoslavia e l’ingresso di dodici paesi dell’Europa centrale e orientale nell’Unione europea. I referendum in Francia e Paesi Bassi che nel 2005 hanno imposto una battuta d’arresto al trattato costituzionale europeo sono tra i primi capitoli (poco riconosciuti) della medesima narrativa.

Lo stesso vale per l’entusiastica approvazione che la “nuova Europa” ha dato alla guerra scatenata da George W.Bush contro l’Iraq, all’origine di una reazione a catena che ci ha portati alla guerra civile in Siria e alla conseguente crisi dei migranti. A sua volta, la crisi dei migranti sembra aver avuto un ruolo di primo piano nell’alimentare le paure su cui Donald Trump ha costruito la sua campagna presidenziale del 2016.

Le prossime elezioni europee potrebbero mandare al parlamento di Strasburgo un contingente di eurodeputati di estrema destra abbastanza ridotto rispetto ai timori della vigilia. Se sarà così, dovremo ringraziare la resistenza dei sistemi politici e delle società in Germania, in Francia e in Austria (proprio così). Gli europei dell’est, invece, sono stati una sorta di cavallo di Troia dei populisti per l’Europa. Il singolo eurodeputato che secondo le previsioni rappresenterà l’estrema destra estone dovrebbe essere un promemoria di questa minaccia a lungo termine.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Ventotto giornalisti raccontano la campagna elettorale nel proprio paese in vista delle elezioni europee del 26-29 maggio 2019. La serie è realizzata in collaborazione con VoxEurop.

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