10 luglio 2015 11:46

Mentre in Europa l’unione monetaria rischia di essere travolta dai debiti della Grecia, dall’altra parte del mondo, in Cina, è esplosa una tempesta finanziaria di dimensioni ben più grandi che alcuni osservatori, come Jeremy Warner sul Daily Telegraph, non esitano a paragonare al crollo di Wall street del 1929. Nell’ultimo mese la borsa di Shanghai, la più importante piazza finanziaria cinese, ha perso il 30 per cento del suo valore, che corrisponde a circa tremila miliardi di dollari, pari più o meno al pil del Regno Unito.

Il crollo è stato causato dalla fuga in massa degli investitori, soprattutto quelli piccoli, che negli ultimi mesi avevano usato i loro risparmi per investire in borsa, dando vita a un boom finanziario senza precedenti in Cina. Secondo le cifre ufficiali, sui mercati finanziari dell’ex Impero di mezzo sono attivi cento milioni di cinesi, in gran parte piccoli risparmiatori non professionisti, che hanno fatto diventare l’investimento in borsa una sorta di sport nazionale e spesso prendono in prestito i soldi che usano per gli investimenti. Un esercito di risparmiatori in grado di assicurare volumi quotidiani di scambi quattro volte superiori a quelli di Wall street.

In passato queste persone cercavano di valorizzare i loro risparmi in vista della vecchiaia, puntando sugli immobili o sui titoli di debito degli enti pubblici. Negli ultimi tempi, però, era cresciuta la diffidenza verso queste forme d’investimento: i prezzi del mercato immobiliare cinese hanno cominciato a scendere dopo un lungo periodo di crescita, mentre le obbligazioni degli enti pubblici perdono terreno perché spesso sono garantite proprio dalle proprietà immobiliari delle amministrazioni.

A quel punto l’alternativa migliore sono sembrate le azioni della borsa. I risparmiatori sono stati incoraggiati dal governo di Pechino, che in particolare dallo scorso novembre ha facilitato l’accesso al credito e gli investimenti in borsa nella speranza di assicurare nuove fonti di finanziamento alle molte imprese cinesi gravate dai debiti, e soprattutto per tentare di rilanciare un’economia che rallenta da tempo a causa del calo delle esportazioni e dei pesanti debiti contratti dalle autorità centrali e locali per finanziare costosi progetti infrastrutturali che non hanno garantito le entrate previste, ma hanno solo appesantito il bilancio dello stato e quelli delle grandi banche.

Le misure decise dal governo per calmare i mercati hanno solo fatto crescere ulteriormente il panico

Il risultato di questa corsa alle azioni è stata un’enorme bolla finanziaria. Tra il giugno del 2014 e il giugno del 2015, scrive l’Independent, la borsa di Shanghai ha guadagnato il 150 per cento, mentre quella di Shenzhen è cresciuta almeno del 200 per cento. Il denaro investito da milioni di piccoli risparmiatori ha moltiplicato le aziende sopravvalutate: a Shenzhen alcune società hanno raggiunto una valutazione pari a 72 volte quella del loro fatturato annuale; a Shanghai la giovane azienda pechinese Baofeng Technology, un fornitore di video online, ha debuttato il 24 marzo 2015 in borsa con una quotazione di 7,14 yuan per azione, mentre il 20 maggio il titolo valeva già 300 yuan.

Un mese fa, però, è scattata all’improvviso un’ondata massiccia di vendite, che ha dato il via al crollo. Come spiega la Bbc, è probabile che i grandi investitori, dopo aver incassato enormi guadagni con il boom della borsa, abbiano cominciato a ridurre la loro esposizione. A quel punto la grande maggioranza dei piccoli investitori (secondo alcune stime l’80 per cento del totale) è stata presa dal panico e ha cominciato a vendere forsennatamente per limitare le perdite e in molti casi restituire i soldi presi in prestito per gli investimenti. Secondo alcuni osservatori, le misure decise dal governo per calmare i mercati hanno solo fatto crescere ulteriormente il panico.

Il mercato e la politica

La conseguenza più immediata di questo crollo ricade proprio sui piccoli risparmiatori. I loro soldi andati in fumo non potranno più alimentare i consumi e quindi creeranno danni alle aziende, comprese quelle straniere, e più in generale all’economia reale e alla banche. È anche vero, però, che in Cina la maggior parte delle aziende si finanzia ancora attraverso le banche. La borsa è un canale piuttosto nuovo a cui si rivolge un numero relativamente basso di investitori. I rischi per l’economia, quindi, potrebbero essere contenuti, mentre appaiono molto più gravi quelli politici e sociali.

In questi giorni Pechino ha adottato una serie di misure per far rientrare la crisi, ma non sono state tutte efficaci, anche se oggi la borsa di Shanghai ha lanciato segnali positivi registrando un rialzo del 4,5 per cento. Come scrive il quotidiano South China Morning Post, è in corso “una dura battaglia che proverà quanto è forte il mercato nei confronti del potere politico”. In mezzo ci sono quasi cento milioni di investitori che finora hanno ignorato ogni tentativo di Pechino di riportare l’ordine. Se le autorità dovessero fallire nel loro proposito, potrebbero aumentare la sfiducia nei confronti del governo e il rischio di proteste.

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