19 marzo 2018 17:49

Tre settimane fa ho ricevuto una telefonata da Mahmoud R. Ci ho messo un po’ per ricordarmi di lui: sulla cinquantina, abitante del villaggio di Einabus (a sud di Nablus, in Cisgiordania), proprietario di una copisteria, padre di almeno cinque figli e tre figlie.

Mi ha chiesto se avessi saputo del pastore attaccato dai coloni. È suo figlio, Zaher. I coloni hanno massacrato le sue pecore. “Le avevamo comprate un anno fa, quando le speranze di mio figlio di ottenere un permesso di lavoro in Israele sono svanite”. Alcuni israeliani con il volto coperto, provenienti da un avamposto illegale dell’insediamento di Yitzhar, hanno preso a bastonate Zaher, che in quel momento era nei campi da solo. Poi hanno ucciso almeno cinque pecore e molte altre sono scomparse. Il ragazzo è rimasto sconvolto.

Dieci giorni dopo Mahmoud mi ha chiamata di nuovo e mi ha dato un’altra notizia. Alcuni coloni di Yitzhar avevano attaccato l’autista di un trattore, distruggendo il mezzo. I ragazzi del villaggio sono corsi in suo aiuto. Sono arrivati anche i soldati e hanno sparato, mentre i coloni tiravano pietre. Due figli di Mahmoud, tra cui Zaher, sono stati feriti dalle pietre e un altro dai proiettili di metallo ricoperti di gomma. Negli ultimi mesi i coloni di Yitzhar hanno compiuto almeno sei attacchi contro i villaggi vicini. “Cosa possiamo fare?”, mi ha chiesto Mahmoud sperando in un mio articolo. “Mi dispiace”, ho risposto, “ma scrivere non serve a cambiare le cose”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 16 marzo 2018 a pagina 22 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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