26 marzo 2018 17:17
Una palestinese balla la dabkha a Tulkarm, in Cisgiordania, novembre 2016. (Abed Omar Qusini, Reuters/Contrasto)

Tra tutti i video che vedo ogni giorno (scontri, attacchi dei coloni, demolizioni) due della settimana scorsa mi hanno particolarmente colpita. Me li ha mandati un amico di Gaza. Nel primo sua figlia di dodici anni balla insieme a un’altra ragazza la dabka, una danza tradizionale. I loro capelli ondeggiano mentre le gambe si sollevano dal suolo fendendo l’aria. A osservarle c’è un gruppo di amici. Sono quasi tutte femmine, ma ci sono anche due maschi. L’istruttore, molto giovane, è seduto sul palco dietro la ballerine e ogni tanto applaude per incoraggiarle e dare il ritmo. L’altro video mostra la figlia del mio amico a cavallo, mentre salta gli ostacoli. Anche lì a osservare ci sono le famiglie e altri giovani cavallerizzi e cavallerizze.

La dabka rievoca lo spirito degli anni ottanta e novanta, quando proteggere la tradizione era considerato parte della lotta nazionale. Qualche anno fa Hamas ha cercato di vietare la danza (soprattutto se eseguita in gruppi misti), ma senza successo.

Cavalcare, invece, è una novità per i bambini di città. Il mio amico e la moglie, entrambi nati in un campo profughi, non sono ricchi. Però hanno un lavoro. I loro sette figli nel corso degli anni hanno assistito a tre grandi assalti dell’esercito israeliano e a un’infinità di attacchi minori. Hanno perso compagni di scuola nei bombardamenti e visto devastazioni che io posso solo immaginare. I ragazzi, il più grande ha 25 anni, non sono mai usciti dalla Striscia. Ma continuano a ballare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 23 marzo 2018 a pagina 24 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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