25 maggio 2015 16:15

L’epoca delle maggioranze assolute è finita e il bipartitismo è in crisi. Un’attivista legata al movimento degli indignados, il cosiddetto 15-M, sarà sindaca di Barcellona. La frammentazione politica è sempre più profonda, specie nelle grandi città. E l’indipendentismo catalano soffre parecchio la crescita di Podemos e delle candidature legate all’esperienza del 15-M.

Sono solo alcune delle conclusioni che si possono trarre dalle elezioni amministrative e regionali del 24 maggio in Spagna, in realtà più complesse e difficili da interpretare di quanto appaia a prima vista. Perché, certo, in tutto il paese i popolari e i socialisti hanno perso complessivamente quasi tre milioni e mezzo di voti, ma rimangono ancora l’asse portante intorno a cui ruoteranno le future alleanze al livello regionale e comunale. E perché per le forze emergenti, Ciudadanos e soprattutto Podemos, il difficile arriva adesso.

Per il partito di Pablo Iglesias, infatti, accettare di entrare in coalizioni di governo locali vorrà dire negoziare con i socialisti degli accordi programmatici che difficilmente potranno accogliere tutte le proposte delineate nel programma presentato il 5 maggio. E in una formazione ancora legata allo spirito movimentista e antisistema della militanza di base, i compromessi rischiano di aprire spaccature e conflitti interni.

Ma governare a Barcellona, una delle città più dinamiche, ricche e cosmopolite d’Europa, è anche una grandissima opportunità. Se la coalizione di movimenti sociali e sinistra radicale capeggiata da Ada Colau saprà essere all’altezza del compito, la vetrina catalana potrà servire a consolidare ulteriormente la posizione di Podemos e potrà contribuire a convincere molti elettori dell’area di centrosinistra che un voto al partito di Iglesias alle elezioni politiche del prossimo autunno non sarà un voto sprecato.

Se, al contrario, l’esperienza di governo farà esplodere le contraddizioni interne al movimento e se le proposte di Podemos non reggeranno alla prova dei fatti, allora i partiti tradizionali – con i popolari in testa – avranno cinque mesi per presentarsi agli elettori come le uniche forze capaci di gestire l’economia e di garantire stabilità e governabilità.

Insomma, se nel 2011 l’esito delle regionali aveva anticipato sostanzialmente quello delle politiche (con la vittoria dei popolari di Mariano Rajoy), questa volta a decidere come andranno le cose a novembre sarà soprattutto quello che succederà nei comuni e nelle comunità autonome dopo la formazione delle maggioranze di governo, prevista per il 13 giugno.

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