Forse avete già visto il recente, bel video del Sunday Times che in un unico, fluido piano-sequenza evoca diverse icone della cultura moderna (il pensatore di Rodin, Forrest Gump, Mad men, la creazione di Adamo di Michelangelo, le Iene di Tarantino, i Daft Punk) per annunciare il restyling della propria sezione cultura ed enfatizzarne l’idea chiave: la connessione tra fenomeni culturali assai diversi.
L’idea chiave è interessante e lo spot la rende suggestiva. Lavora su connessioni puramente formali, ma lo fa alla grande grazie a una delle invenzioni cinematografiche di più intensa magia: il piano sequenza. Un modo per evocare, attraverso lo schermo, la mobile complessità della visione e per portare lo spettatore, agganciandolo attraverso lo sguardo, in profondità nella scena, nel bel mezzo di quanto accade, e in tempo reale.
In sostanza, si tratta di girare un’intera scena senza interruzioni – e dunque senza realizzare e montare inquadrature diverse – muovendo la macchina da presa sul set alla ricerca dell’azione, che così nasce sotto gli occhi dello spettatore: guardatevi quel che riesce a combinare Orson Welles nella scena di apertura dell’Infernale Quinlan. E come se la cava invece Martin Scorsese in Quei bravi ragazzi. Se ci avete preso gusto, qui c’è una raccolta dei venti migliori long take.
Il più lungo piano sequenza della storia del cinema viene girato da Alfred Hitchcock nel 1948: si tratta di Nodo alla gola, un intero film di ottanta minuti. Poiché le bobine dell’epoca comprendono solo 300 metri di pellicola e corrispondono a 10 minuti di girato, a Hitchcock tocca impiegarne diverse. Per unire l’una all’altra in modo impercettibile mantenendo intatta l’illusione del piano sequenza, Hitchcock conclude e ricomincia, a ogni cambio di bobina, su un campo scuro (una giacca, una cassapanca…). Una soluzione brillante per una sfida impossibile.
Nel piano sequenza c’è qualcosa di meno – l’artificio del montaggio, appunto – e ci sono diverse cose in più che in una normale ripresa: coinvolgimento per lo spettatore (trascinato in un lavoro di interpretazione che il montaggio, di solito, facilita) e un supplemento di rischio e di accuratissima preparazione per il regista e l’intera troupe, che devono prevedere movimenti di macchina e azioni al secondo e al millimetro e sanno che, se qualcosa va storto, bisogna buttare via tutto e ricominciare da capo.
Se la prodezza di Hitchcock è per motivi intuibili (primo fra tutti la necessaria unità di tempo e di luogo) difficile da replicare in un lungometraggio, nei formati brevi di uno spot, di un corto o di un trailer la soluzione costituita dal ricorrere a un unico piano sequenza può dar luogo a risultati incantevoli. Oltre al Sunday Times, ha usato magistralmente il piano sequenza la Johnny Walker (bellissimo: sei minuti e mezzo di macchina da presa che retrocede senza un’esitazione o una sbavatura su un sentierino delle Highlands). Quello che vedete è – lo dice il regista Jamie Rafn – il risultato ottenuto al quarantesimo tentativo.
Una variazione interessante: il telecomunicato della Apple per l’iPad Air consiste in un lento piano sequenza di avvicinamento a un tavolo su cui è appoggiata una matita, mentre tutte le scene di fondo cambiano rapidamente. Viaggia invece vertiginosamente all’indietro (be’, non è proprio un piano sequenza, ma merita comunque di essere visto) il bel telecomunicato della Bbc che tra l’altro, fateci caso, per connettere le scene usa alcune soluzioni “alla Hitchock”. Sorprendenti anche i sistemi adottati da André Chocron per tenere assieme in modo fluido gli oltre quattro, ipnotici minuti di My recurring dream (qui altri suoi lavori).
È un magnifico, meticolosissimo piano sequenza sul set immaginario di Shining anche il trailer per la Kubrick season di Channel 4. Il quale, ulteriore cosa notevole, vi propone di far vostro il punto di vista di Kubrick medesimo che si aggira per il set.
E, a questo punto, è proprio il caso di augurarvi buona visione.
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