27 aprile 2015 11:40

Qui sotto vi racconto una storia. Poi vi racconto la storia della storia, e il senso di entrambe. Vedrete, sono interessanti.

La storia. A scriverla è Alexander Calandra, docente di fisica alla Washington university. La traduco e la riassumo.

Un collega chiama Calandra a dirimere una questione spinosa: durante un esame di fisica, alla domanda “dimostrami come puoi determinare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro” lo studente esaminato risponde che basta portare il barometro in cima al grattacielo, legarlo a una corda, mollarla fino a terra, tirarla su e misurarne la lunghezza.

La risposta è corretta perché risolve il problema, ma non è quella canonica (usare il barometro per determinare la differenza di pressione atmosferica tra base e vertice dell’edificio) e solleva un ulteriore problema: come valutare lo studente che sì, ha risposto, ma l’ha fatto violando la regola accademica che chiede di dimostrare il possesso di competenze proprie della materia in cui si viene esaminati? Lo studente pretende il massimo dei voti, il docente vuole dargli zero.

Calandra concorda con il collega di offrire allo studente un’altra possibilità: ha sei minuti per produrre una risposta ortodossa. Dopo cinque minuti non ha ancora scritto nulla. Gli viene chiesto se vuole ritirarsi, ma lui dice che deve scegliere tra molte risposte possibili.

Al sesto minuto lo studente scrive: “Porta il barometro in cima all’edificio, sporgiti e lascialo cadere dal tetto. Misura il tempo di caduta con un cronometro e poi usando la formula S = ½ at2 calcola l’altezza dell’edificio”. Lo studente riceve un voto eccellente. Mentre escono insieme, Calandra gli domanda quali fossero le altre risposte.

“Ci sono molti modi per misurare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro”, dice lo studente. E spiega: “In un giorno di sole posso misurare l’ombra proiettata dal barometro e quella proiettata dal grattacielo: per calcolarne l’altezza, poi, faccio una semplice proporzione. Oppure salgo per le scale e faccio segni sui muri usando il barometro come unità di lunghezza…

…alla fine conto i segni e ottengo l’altezza dell’edificio in unità-barometro. Posso legare il barometro a un filo e usarlo come pendolo per misurare il valore della gravità alla base del grattacielo e in cima: a partire dalla differenza tra i due valori riesco, in linea di principio, a calcolare l’altezza. E ci sono altri modi ancora: forse il più efficace è bussare alla porta del soprintendente del grattacielo e dirgli senta, questo è un bellissimo barometro. Se mi dice quanto è alto il grattacielo, glielo regalo”.

A questo punto Calandra domanda allo studente se davvero non conosce la risposta canonica. “Certo che sì”, dice lui, “ma non ne posso più dei professori che pretendono di insegnarmi come pensare invece di spiegarmi la struttura del problema”.

La storia della storia. La storia del barometro è stata pubblicata in lingua inglese innumerevoli volte, spesso ma non sempre con il titolo originale Angels on a pin (angeli su uno spillo), che a sua volta si rifà a un quesito della scolastica medievale: “Quanti angeli possono stare su uno spillo?” (giusto per saperlo, la risposta è: infiniti).

Ma torniamo a Calandra: qui il testo originale, in una delle edizioni successive alla prima (Reader’s Digest, 1958). Riedizione dopo riedizione, la storia si trasforma in leggenda metropolitana nel momento in cui lo studente viene identificato con Niels Bohr, premio Nobel per la fisica per la teoria dei quanti. Con questa attribuzione si diffonde in rete, trasformandosi in un internet meme e conquistandosi, in quanto tale, una pagina su Wikipedia intitolata The barometer question.

Basta fare due conti per accorgersi che l’attribuzione a Bohr è impossibile: lui frequenta l’università di Copenaghen a partire dal 1903, quando Calandra (che, del resto, nel testo originale si guarda bene dal citarlo) non è ancora nato. In Italia la storia esce, tradotta per la prima volta, nel 2005, (Bohr ne è già protagonista). Se volete aver conto di ulteriori variazioni, date un’occhiata a questa pagina.

Il senso della storia. In realtà, la storia del barometro è un apologo sull’istruzione. Racconta con efficacia che cos’è la fissità funzionale: l’attitudine ad affrontare problemi in maniera stereotipata e consuetudinaria. E segnala che questa attitudine pervade l’insegnamento universitario, il quale dovrebbe invece offrire strumenti atti a favorire lo sviluppo del pensiero libero, innovativo e creativo.

Non a caso Alexander Calandra è stato anche consulente per l’istruzione nel campo delle scienze e ha lavorato con l’Educational testing service, l’istituzione americana che certifica la validità delle prove d’esame: un ottimo posto per farsi venire dubbi sui modi in cui le competenze sono trasmesse e certificate. Calandra è morto a 95 anni, nel 2006. È stato un bravo docente e ha fatto molte cose importanti nella vita, ma oggi viene ricordato per aver scritto questa singola storia.

Il senso della storia della storia. L’attribuzione a Bohr aggiunge un po’ di pepe all’intera vicenda, visto che sappiamo tutti che cosa combina lui da grande. È un falso che “fa sembrare la storia più vera” e rinforza lo spirito di rivalsa nei confronti dell’istituzione scolastica che schiaccia gli studenti migliori. E poi, a tutti piace identificarsi con Bohr e con il suo pensiero geniale e indipendente, no?
Così, questa storia fa il paio con un altro aneddoto gustoso di insurrezione scolastica: quello riguardante Gauss bambino che, punito dal maestro con il noiosissimo compito di sommare tutti i numeri da zero a cento, se la cava in un battibaleno grazie a un’intuizione brillante.

E poi, non dimentichiamolo, nell’acceso confronto con l’amico Albert Einstein a proposito di teoria della relatività e meccanica quantistica, è Bohr (carteggio del 1926) a fare la battuta migliore: Dio non gioca a dadi con l’universo, scrive Einstein. E Bohr risponde: dai, Albert, smettila di dire a Dio come deve giocare.

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