26 novembre 2018 13:27

Dov’è andato a finire il rispetto? Questa, lo so, sembra una domanda da vecchie signore. Ma, poiché non mi dispiace giocarmela ogni tanto da vecchia signora, è una domanda che mi sento autorizzata a pormi, e a porvi, anche se non esattamente in questi termini stizziti.

La prendo da un altro verso, invitandovi a formulare una definizione esauriente del termine “rispetto”. Riuscirci non è facile come sembra. Su, concedetevi qualche secondo per pensarci.

“Sentimento e atteggiamento di riguardo, di stima e di deferenza, devota e spesso affettuosa, verso una persona”, dice il vocabolario Treccani. E poi: “Sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità”. E ancora: “Osservanza, esecuzione fedele e attenta di un ordine, di una regola. Infine: riguardo, considerazione, attenzione”.

La definizione del termine è ampia. Considera ogni possibile ambito a cui l’idea e la pratica di quello che intendiamo per “rispetto” si può estendere: le relazioni tra persone. Le buone pratiche della convivenza. L’osservanza delle regole. Più in generale, il prestare attenzione a quanto ci sta attorno. Eppure, anche a leggerla nella sua interezza, sembra che manchi qualcosa.

Vabbé, torno alle origini, abbandono la ricerca in rete, apro il vecchio vocabolario di latino e vado a pescare il verbo respĭcĭo, da cui deriva l’italiano rispetto. Il verbo significa, guarda un po’, guardare, guardare indietro, voltarsi a guardare.

Guardare
Questo è un ottimo punto: il guardare. Se ti rispetto, vuol dire che prima di tutto ti vedo. E che ti guardo, e non una volta sola. Se ti guardo, vuol dire che ti dedico il mio tempo e la mia attenzione, riconoscendo implicitamente il tuo valore. C’è un sentimento che nasce da una distanza (appunto: uno spazio di rispetto), da un indugio e da un riconoscimento.

Vuol dire insomma che non procedo come se tu non ci fossi. Non ti ignoro come se tu non contassi niente. Non ti scanso o ti calpesto come se tu fossi irrilevante o invisibile. Insomma: non faccio finta che tu non esista.

Sul rispetto reciproco si basano le relazioni interpersonali e la convivenza civile. Sul rispetto si fonda l’empatia. Non è (o non è solo) una questione di buone maniere o di deferenza. In altre parole: non è una questione di forma, ma di sostanza.

Se vogliamo una società migliore, dobbiamo ripristinare il rispetto

Tutto ciò, per inciso e a scanso di equivoci, c’entra assai poco con il concetto ottocentesco di decoro e rispettabilità borghese, formale e basato su rigide gerarchie, estese anche all’ambito familiare, fondalmentalmente inique e… poco rispettose.

Qui si tratta, appunto, di riconoscere il valore dell’interlocutore e la legittimità della sua posizione e dei suoi interessi, all’interno di un confronto o di uno scambio. Questo vuol dire che interessi e posizione, che pure possono essere oggetto di discussione, in primo luogo vanno (ti vedo! E ti riconosco) considerati. Di fatto, rispettare anche gli avversari – ne abbiamo parlato di recente – è il modo per non trasformare un conflitto in una catastrofe irreparabile.

Rispetto è autocontrollo, disciplina, libertà (a questo punto chi lo desidera può tirare un ballo diversi filosofi, da Aristotele a Kant). È essere intelligenti sia dell’altro sia di se stessi. È uno stile di pensiero e di azione.

Il rispetto si impara da piccoli. Come lo si insegna? Beh, giorno dopo giorno, con pazienza, attraverso l’esempio, l’incoraggiamento e la pratica. Stabilendo regole e limiti chiari. Ricordando che i comportamenti irrispettosi non sono mai divertenti. E che i bambini, già da piccoli – lo diceva Piaget – sono sensibili alle regole, e che governare e impadronirsi delle regole fa parte del processo di crescita.

Sui social network, il rispetto sembra essere diventato una merce rara. Eppure per le imprese è imperativo dimostrare rispetto: “Tratta la tua community con rispetto e considerazione”, scrive Forbes, “e raggiungerai tutti gli altri obiettivi che ti sei posto”. Per i singoli utenti, mostrare rispetto può essere il modo migliore per guadagnarsi rispetto a propria volta.

“Oggi c’è un’ineguaglianza più profonda di quella puramente economica”, scrive Aeon in un bellissimo articolo, “ed è causata non da una mancanza di risorse, ma da una mancanza di rispetto. Puoi essere molto più ricco o più povero di me, ma se ci trattiamo con reciproco rispetto siamo, relazionalmente parlando, uguali”.

Tra l’altro, rispetto reciproco e rispetto di se stessi sono profondamente connessi. E l’eguaglianza (il rispetto) relazionale è alla base sia della parità di diritti e opportunità, sia di una più equa distribuzione delle risorse.

Aeon conclude che il rispetto non può essere imposto dall’alto: “Se vogliamo una società migliore, dobbiamo ripristinare il rispetto, specie per quelli che sono diversi da noi o che hanno visioni diverse dalle nostre”. Questo è un compito quotidiano per ciascuno di noi. È un compito – rispettosamente ve lo segnalo – di cui varrebbe la pena farsi carico.

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