15 aprile 2019 13:25

Con quanta oggettività e quanta precisione sappiamo valutare noi stessi? Per rispondere decentemente bisognerebbe essere in grado di valutare la propria capacità di autovalutazione, in un gioco di specchi che fatalmente moltiplica le possibilità di errore.

Eppure saper valutare se stessi è importante: serve a misurare e a orientare gli sforzi, a pianificare il futuro, a porsi obiettivi realistici e a capire se e come li si sta raggiungendo. E a non combinare troppi guai. Mette in gioco autostima, motivazione, senso di identità: tutta roba grossa.

Non è sorprendente che il tema dell’autovalutazione interessi molte persone. Fra tutti gli articoli che ho scritto in questi anni, due fra i più letti e condivisi riguardano proprio la doppia faccia dell’errore di autovalutazione: da una parte c’è l’effetto Dunning Kruger (l’attitudine a sovrastimare le proprie prestazioni e a ignorare la propria incompetenza).

Dall’altra parte c’è la sindrome dell’impostore (la simmetrica attitudine a sottostimare le proprie capacità, a sentirsi sempre inadeguati e a temere di essere, prima o poi “smascherati”).

Tutti noi nell’autovalutarci tendiamo sempre e comunque a essere o troppo fiduciosi o troppo severi

Il successo dei due articoli potrebbe alimentare un paio di sospetti maliziosi. Il primo riguarda la benevolenza con cui ciascuno potrebbe tendere a considerare se stesso (sono un genio ma non riesco a convincermene! Tutta colpa della sindrome dell’impostore, da cui sono certamente affetto).

Il secondo sospetto riguarda la severità con cui ciascuno potrebbe tendere a considerare gli altri (quanti presuntuosi incapaci ci sono in giro! Tutta colpa dell’effetto Dunning-Kruger, che di sicuro affligge, ehm, un sacco di persone che mi vengono in mente).

Il fatto vero è che tutti noi nell’autovalutarci tendiamo sempre e comunque a essere o troppo fiduciosi o troppo severi, e siamo propensi a sbagliare sia per eccesso, sia per difetto. Insomma: nella nostra autoconsapevolezza ci sono dei punti ciechi.

Ma come si concilia la tendenza a sottostimare le proprie prestazioni con la simmetrica tendenza a sovrastimarle? Dicevo: sono due facce della stessa medaglia. E, in momenti o contesti differenti, o su argomenti diversi, possono perfino essere compresenti nella stessa persona. Di certo, lo sono in un gruppo di persone poste di fronte al medesimo compito (per esempio, un test da eseguire).

Difficili valutazioni
Proprio di punti ciechi parla David Dunning, lo scopritore dell’effetto Dunning-Kruger, in una bella intervista uscita su Vox. In cima all’intervista, un grafico tratto dalla ricerca originale di Dunning spiega molto chiaramente la compresenza di due fenomeni.

Guardate: mentre i peggiori sovrastimano le proprie prestazioni nel test, i migliori le sottostimano. E tutti quanti tendono ad appiattirsi nelle valutazioni, considerandosi con blando ottimismo un pochino o abbastanza più bravi della media, ma non di tanto.

La prima regola del club Dunning-Kruger è che nessuno è consapevole di farne parte, specifica Dunning. Si può invece, aggiungo, essere (dolorosamente) consapevoli di far parte del club Sindrome dell’impostore.

Per questo, fiduciosa che possano realmente servire, ora vorrei sottoporvi un altro paio di variabili a proposito della Sindrome che, come scrive Time, può colpire tutti: donne e uomini, studenti e professionisti, attori e impiegati… insomma, chiunque non sia in grado di interiorizzare un proprio piccolo o grande successo.

Si può stimare che il 70 per cento delle persone abbia sofferto della sindrome dell’impostore almeno una volta nella sua vita. Ed ecco, alla faccia delle interpretazioni maliziose, il motivo per cui molte persone ci si riconoscono.

Ma forse può confortarci il fatto di sapere che perfino ad Albert Einstein è capitato di sentirsi impostore e inadeguato. E che di recente anche Michelle Obama ha detto di aver costantemente la sensazione di essere presa troppo sul serio.

Il New York Magazine pubblica un test di dieci domande, che vi aiuta, per quanto è possibile, a valutare se e quanto siete affetti dalla sindrome dell’impostore. Almeno smettete di dirvelo da soli, e soprattutto evitate di pensare di poter essere impostori (di nuovo gli specchi) anche a proposito della sindrome dell’impostore.

Nell’intervista a Vox, Dunning aggiunge un ottimo, prezioso suggerimento per imparare a fare valutazioni più accurate, serene e oggettive: ragionare in termini non di certezze, ma di probabilità.

Per esempio, pensare di essere “probabilmente” molto bravi nel fare qualcosa può forse facilitare il negoziato con la sindrome dell’impostore. E potrebbe perfino aiutare ad accogliere con un bel sorriso tutti quei complimenti che di solito sembrano così difficili da gestire.

Di sicuro, il suggerimento vale doppiamente nel caso opposto: già considerare la probabilità di essere meno bravi di quanto si è propensi a credere mette al riparo dal ritrovarsi iscritti al club Dunning-Kruger così, senza neanche essersene accorti.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it