12 gennaio 2021 15:43

È un classico: a gennaio facciamo buoni propositi, spesso impegnandoci a raggiungere obiettivi importanti. E dopo qualche mese ce ne siamo dimenticati.

La notizia è che impegnarsi per raggiungere grandi obiettivi è un’idea meno buona di quanto comunemente si crede. Ed è un’idea non buona perché, semplicemente, non funziona. Ad affermarlo è l’Harvard Business Review, che titola: per raggiungere grandi risultati, cominciate da piccole abitudini.

Già: ma cos’è, esattamente, un’abitudine? E come funziona?

Routine e abilità consolidate
Chiamiamo “abitudine” un comportamento o un processo di pensiero che, dopo averlo ripetuto molte volte, è diventato automatico. E che, in un medesimo contesto, tendiamo a replicare con scioltezza, senza neanche doverlo decidere, spesso in modo inconsapevole.

Può trattarsi, per esempio, della sequenza dei gesti che compiamo per l’igiene quotidiana, o del sederci sempre allo stesso posto quando siamo a tavola. O di guidare cambiando le marce al momento giusto. In realtà, sembra che il 45 per cento delle attività che svolgiamo ogni giorno (emozioni e pensieri compresi) sia abituale.

In sostanza, le abitudini sono routine o abilità consolidate. Sono stabili: si formano lentamente (in media, in 66 giorni), si cancellano altrettanto lentamente. Si attivano attraverso un ciclo dell’abitudine, che comprende tre elementi: la condizione contestuale in cui usiamo il “pilota automatico”, lo specifico comportamento che attiviamo in quella condizione, il vantaggio o la gratificazione che ci procura attivare quel comportamento. Di questi tre elementi dobbiamo tener conto anche quando vogliamo modificare una vecchia abitudine, o cancellarne una dannosa.

L’abitudine ci rende schiavi quando si trasforma in un automatismo, di gesto o di pensiero, al quale non riusciamo più a sfuggire

Avere abitudini sembra noioso. A qualcuno potrebbe anche tornare in mente il poema di Martha Medeiros che esordisce così: “Lentamente muore / chi diventa schiavo dell’abitudine”.

Notate, però, che Medeiros condanna, appunto, l’essere schiavi dell’abitudine. È qualcosa di diverso dal delegare all’abitudine lo svolgimento di ineliminabili compiti di routine, in modo tale da non essere obbligati a investirci risorse cognitive sempre nuove. E da riservare la nostra scarsa, preziosa attenzione ad altri compiti, più rilevanti, impegnativi o gratificanti.

C’è un solo modo in cui le abitudini possono “renderci schiavi”, e conviene starci attenti: succede quando ciò che facciamo abitualmente si trasforma in un automatismo, di gesto o di pensiero, al quale non riusciamo più a sfuggire.

In questo senso, il fenomeno della fissità funzionale è emblematico: siamo così abituati a usare un oggetto (per esempio, una graffetta) in un certo modo, da non riuscire neanche a immaginare di poterlo impiegare altrimenti. Non a caso, uno dei più semplici e noti test di creatività consiste proprio nell’inventare il maggior numero possibile di usi alternativi per un attrezzo comune come un mattone o, appunto, una graffetta.

Cinque passaggi
Ora, torniamo al punto. Secondo l’Harvard Business Review, oltre al risparmio di cognizione e attenzione, nel coltivare abitudini c’è un importante vantaggio ulteriore. Riguarda precisamente il cambiare o migliorare i nostri comportamenti. E riguarda il fatto che spesso falliamo esattamente perché pretendiamo di farlo in modo troppo improvviso, e radicale.

Così, scrive HBR, “l’uomo che non ha mai fatto esercizio fisico si propone di fare ginnastica almeno mezz’ora ogni giorno. La donna che sta incollata all’email fino a mezzanotte si propone di leggere ogni sera per un’ora prima di addormentarsi. L’uomo che si è appena ingozzato con un secondo dessert si propone di abolire da subito qualsiasi tipo di dolce”.

Quando ragioniamo in questo modo, rischiamo di scoraggiarci in fretta e di esporci alla frustrazione: i grandi obiettivi chiedono grandi sforzi, coerenza e una dedizione totale.

Molto meglio cominciare con microabitudini: piccole cose facili da fare, che possono essere parti di un obiettivo più grande. Anche questo non è semplice, perché modificare comportamenti consolidati non lo è mai. Ma è molto più agevole che rivoluzionare tutto in una volta sola.

Ci si può riuscire in cinque passaggi. Se teniamo a mente quanto si è detto prima sulla formazione delle abitudini, capiamo che si tratta di suggerimenti non solo ragionevoli, ma brillanti.

Il primo: identificare un compito molto, molto piccolo. Così piccolo da richiedere davvero uno sforzo minimo, e da poter essere svolto in un tempo molto limitato (l’esempio di HBR è: leggi un singolo paragrafo ogni sera. Oppure: fai un singolo piegamento ogni mattina).

Il secondo: inserire quel compito in una routine già consolidata. Per esempio: leggi quel paragrafo appena ti infili sotto le coperte. Oppure mentre ti lavi i denti. O fai un piegamento prima di infilarti le calze.

Il terzo: tieni conto di tutte le volte che completi il tuo compito. Basta una spunta su un foglio di carta. Ci vuole un attimo.

Il quarto: non aver fretta di intensificare il tuo sforzo, ma accrescilo lentamente. Puoi aggiungere qualcosina solo quando da almeno due settimane ti stai annoiando di fare quel poco che fai.

Il quinto. Coinvolgi una o più persone amiche in questa sfida delle microabitudini.

Tutto ciò, ovviamente, non significa che non vale la pena di darsi obiettivi, al livello individuale o collettivo. Gli obiettivi ci aiutano a capire qual è la direzione giusta verso cui muoverci. Ma sono le abitudini che aiutano ad arrivarci davvero, passo dopo passo.

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