Per quanto possa essere cieco, il terrorismo ha sempre una base politica. L’obiettivo principale dell’auto imbottita di esplosivi e del kamikaze a bordo di una motocicletta lanciati martedì mattina contro l’ambasciata iraniana a Beirut era quello di far pagare a Teheran il suo appoggio al regime siriano.

Senza l’aiuto finanziario, i consigli militari e le armi dell’Iran Bashar al Assad non avrebbe mai potuto resistere per 28 mesi. La Russia sostiene diplomaticamente il regime sulla scena internazionale, ma l’Iran ha agito sul campo mobilitando gli Hezbollah libanesi, la potente organizzazione politico-militare sciita strumento di Teheran in Libano, in Siria e lungo la frontiera settentrionale di Israele. Oggi gli insorti siriani si scontrano prima di tutto con l’Iran e con Hezbollah, in un momento in cui sono costretti a ripiegare davanti alla controffensiva scatenata da Bashar al Assad per arrivare in posizione di forza alla conferenza di pace che dovrebbe svolgersi il mese prossimo a Ginevra. In questo senso colpire l’ambasciata iraniana a Beirut significa colpire in un solo colpo l’Iran ed Hezbollah.

L’attentato, oltre a segnare un momento chiave del conflitto siriano, evidenzia quella che è diventata la principale linea di frattura del Medio Oriente. Più del conflitto israelo-palestinese e della guerra in Siria, infatti, è la tensione crescente tra sunniti e sciiti a infiammare la regione. L’Iran, Hezbollah e la maggioranza della popolazione irachena sono sciiti, come anche la minoranza alauita di cui fa parte la famiglia Assad. Dall’altra parte della spaccatura c’è la maggioranza sunnita del mondo arabo, guidata dall’Arabia Saudita.

Tra due schieramenti in cui si mescolano l’antagonismo religioso e gli interessi dello stato, la competizione è diventata feroce da quando i mullah iraniani hanno preso il posto dello scià e hanno scelto di allargare la loro influenza oltre le frontiere nazionali. È per questo che l’Arabia Saudita sostiene i ribelli siriani (in maggioranza sunniti) e che l’intera regione è coinvolta in una guerra religiosa.

Il primo motivo della crisi è legato al fatto che l’Iran non vuole perdere la Siria, mentre i sauditi vorrebbero strappargliela. Il secondo motivo, ancora più importante, è che l’Iran sembra sulla via della riconciliazione con gli Stati Uniti, sempre che giovedì riesca a trovare un’intesa con le grandi potenze sul nucleare.

Un Iran reintegrato nella comunità internazionale e libero dalle sanzioni economiche che soffocano la sua economia diventerebbe rapidamente la prima potenza del Medio Oriente, per via delle sue ricchezze naturali e del livello culturale della sua popolazione. Avvicinandosi Washington, l’Iran sciita è diventato lo spauracchio di un mondo arabo in crisi e soprattutto delle monarchie petrolifere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it