Sembrerà strano, ma Vladimir Putin ha un consulente per i diritti umani. Si chiama Mikhail Fedotov e, dopo aver parlato con il presidente dei possibili provvedimenti di clemenza da adottare in occasione del ventesimo anniversario della costituzione, si è detto “convinto” - parole sue - che Mikhail Khodorkovskij e le Pussy Riot potrebbero beneficiarne.
Al vertice di un impero nato dalle privatizzazioni degli anni novanta, Khodorkovskij ha avuto il coraggio di attaccare frontalmente e pubblicamente Vladimir Putin, denunciando l’iniquità e la corruzione del suo regno. Per questo è stato immediatamente privato delle sue società e inviato in un campo di lavoro con l’accusa di frode fiscale, e oggi incarna la Russia che sogna un ritorno dello stato di diritto. Le Pussy Riot, invece, sono un gruppo di ragazze che hanno deciso di manifestare la loro opposizione al potere nel modo più spettacolare, all’interno della cattedrale moscovita di Cristo salvatore. Anche due di loro si trovano in un campo di lavoro.
Il presidente russo prova nei confronti dei tre dissidenti un risentimento profondo. Il Cremlino ha smorzato le dichiarazioni del consigliere per i diritti umani, ma il fatto che non le abbia smentite significa che ai vertici è in corso un dibattito. Un atto di clemenza per i tre prigionieri non è affatto certo, ma almeno adesso non è più impensabile.
Da un lato Putin non intende allentare la morsa della paura e non vorrebbe fare la minima concessione ai suoi oppositori, ma dall’altro è tentato di mostrarsi generoso per migliorare le sua immagine internazionale, in vista dell’apertura dei giochi olimpici invernali del prossimo febbraio a Sotchi e sulla scia del riavvicinamento con gli Stati Uniti sull’Iran e sulla Siria. Inoltre molti consiglieri di Putin vorrebbero che la Russia tornasse a essere un interlocutore alla pari di Europa e Stati Uniti. Gli occidentali, dal canto loro, non chiedono di meglio, e basterebbe un piccolo gesto di distensione da parte del presidente russo per far dimenticare tutto il resto.
Qualcosa bolle in pentola, insomma, ma il problema è che americani ed europei non hanno nessuna strategia politica precisa nei confronti della Russia. Una distensione dei rapporti con Mosca permetterebbe alle grandi potenze di agire di concerto come hanno fatto con l’Iran e come si preparano a fare con la Siria (e anche di superare il clima di ostruzionismo all’Onu) ma a questa fragile evoluzione manca un codice di condotta internazionale proposto dagli americani e soprattutto mancano idee europee su quale potrebbe essere, a partire dall’Ucraina, il modello di cooperazione economica tra l’Ue e la Federazione russa.
Per avviare il negoziato ci vogliono posizioni da difendere, ma gli europei non si sono mai preoccupati di definire un obiettivo per i loro rapporti con il paese più grande del mondo, che tra l’altro è un loro vicino.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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