Ci sono due modi per leggere la situazione della Grecia. Il primo consiste nell’osservare ciò che accade nelle strade di Atene, dove centinaia di mendicanti dormono per strada e affollano le mense per i poveri.

Questa realtà è la conseguenza di un numero inquietante che si ripete tre volte. Dopo sei anni di recessione il prodotto interno lordo della Grecia si è ridotto di un terzo, la disoccupazione colpisce un terzo della popolazione e un terzo dei greci vive sotto la soglia di povertà. Sono numeri sconfortanti e inaccettabili. La colpa del disastro greco non è soltanto della terapia d’urto imposta dall’Ue in cambio dell’aiuto economico, perché la recessione è cominciata sei anni fa mentre il piano di salvataggio è arrivato soltanto due anni dopo.

Nessuno può negare l’effetto nefasto dell’amara medicina prescritta ad Atene dall’Fmi e dai partner europei in cambio dei 220 miliardi che hanno permesso al paese di salvarsi dalla bancarotta nel 2010, ma bisogna anche ricordare che la Grecia ha truccato i suoi conti pubblici per entrare nell’euro, e una volta raggiunto il suo scopo ha continuato a spendere oltre le proprie possibilità accumulando debiti e firmando assegni in bianco perché si credeva ormai al sicuro e protetta dalla moneta comune. Alla fine è arrivato il momento della resa dei conti, e Atene si è ritrovata alla mercé dei suoi creditori e costretta ad accettare le condizioni dei partner per evitare un fallimento che avrebbe minacciato anche la sopravvivenza dell’euro.

Appoggiandosi ai trattati, l’Ue ha aiutato la Grecia, e per quanto le condizioni del salvataggio siano state brutali stanno cominciando a dare i primi frutti. Ed ecco la seconda lettura, l’altra faccia della medaglia: in Grecia il tasso di recessione si è ridotto anno dopo anno, e nel 2013 il bilancio greco è tornato grosso modo in equilibrio. I conti pubblici stanno migliorando, e a questo punto non è impensabile che nel 2014 la Grecia registri una debole crescita economica e un limitato calo della disoccupazione.

In tutto questo la situazione politica del paese è lo specchio delle due letture contraddittorie e complementari della sua economia. Mentre il potere resta nelle mani di una coalizione formata dai socialisti del Pasok e dai loro acerrimi rivali di Nuova Democrazia, uniti per salvare la Grecia, un partito guadagna rapidamente terreno. Si tratta di Syriza, formazione di sinistra radicale che secondo i sondaggi è già la prima forza politica del paese in vista delle municipali e delle europee della prossima primavera.

Syriza non ha intenzione di uscire dall’Europa né dall’euro (consapevole del rischio di un ulteriore indebolimento della Grecia), ma chiede la cancellazione di un terzo del debito e nuove condizioni che permettano al paese di riprendere fiato. Se i sondaggi sono attendibili, siamo alla vigilia di una scissione tra i socialisti e della conseguente caduta del governo. Le elezioni anticipate potrebbero consegnare a Syriza le redini della Grecia, e a quel punto l’Europa dovrà decidere se negoziare o separarsi da Atene. Probabilmente l’Ue sceglierà la strada della trattativa, e la Grecia avrà di nuovo l’opportunità di cambiare l’Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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