24 febbraio 2014 07:00

Per il momento ci sono due vincitori e uno sconfitto, gli ucraini e l’Unione europea da un lato e la Federazione russa dall’altro. La maggioranza degli ucraini, decisa ad agganciarsi all’Unione per liberare il paese dalla corruzione, ha vinto in modo spettacolare: il presidente Viktor Janukovič è in fuga, le velleità secessioniste dei leader delle regioni russofone hanno resistito poche ore e all’orizzonte si avvicina un ritorno alle urne.

Anche l’Unione europea ha ottenuto una vittoria, per quanto insperata: sono stati infatti i suoi valori e la sua bandiera ad aver mobilitato gli ucraini e ad averli spinti a rovesciare il presidente, che sotto forti pressioni russe aveva rifiutato di firmare un accordo di associazione con i 28. Divisa e in difficoltà, l’Ue ha riscoperto la forza di attrazione che esercita all’esterno dei suoi confini, e sono stati tre ministri degli esteri europei (polacco, tedesco e francese) a far cedere Janukovič presentandosi insieme a Kiev per arrestare il bagno di sangue.

Se l’Unione esce rafforzata dalla crisi, la Russia ha incassato una sconfitta evidente. Vladimir Putin non è riuscito a imporre il suo volere all’Ucraina, e la squadra incaricata della transizione ha già fatto sapere che intende riaprire il negoziato sull’accordo di associazione. Mosca ha perso la partita in un paese dove i suoi sostenitori sono numerosi e che rappresenta il tassello fondamentale del suo piano d’espansione. Tuttavia la situazione attuale, per quanto netta, è soltanto la fotografia di un istante, un intervallo in una battaglia che non si è ancora conclusa.

Da domani gli ucraini dovranno affrontare il principale problema di tutte le rivoluzioni, ovvero quello di conservare l’unità dopo la vittoria. Sarà una sfida molto difficile, perché i partiti ucraini sono deboli e l’estrema destra nazionalista ha conquistato un forte peso politico grazie alle barricate di Kiev. All’interno dell’opposizione ci sono figure che avranno grosse difficoltà a trovare un’intesa, e questo complica non poco l’organizzazione di una nuova scena politica nazionale.

Il problema principale, però, è un altro. L’Unione europea non ha i mezzi finanziari per rimettere in piedi l’economia ucraina, e non intende aprire le porte a Kiev perché le sue difficoltà interne le impediscono di ammettere nel club uno stato più grande della Francia. Spalleggiata dall’Fmi e dalla Banca mondiale, l’Europa farà tutto il possibile, ma il suo contributo sarà condizionato dalla realizzazione di riforme socialmente dolorose da parte del governo ucraino, e questo potrebbe comportare un rapido calo di popolarità per l’Ue.

Per l’Unione il compito si annuncia proibitivo, mentre la Russia non dovrà fare altro che aspettare la naturale flessione della rivolta per ricordare agli ucraini quanto il loro paese dipenda dalle tariffe preferenziali per la fornitura di gas accordate dal Cremlino. Mosca dovrà inoltre riattivare le sue reti nell’Ucraina orientale, cosa che ha già cominciato a fare. Anche per questo, se davvero l’Europa vuole proporre alla Russia un dialogo sulla stabilità e la cooperazione nel continente (e dunque anche in Ucraina) deve farlo ora, prima che i russi abbiano il tempo di metabolizzare la sconfitta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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