07 novembre 2014 09:56

L’inchiesta è stata pubblicata il 6 novembre da decine di quotidiani: il Lussemburgo, stato fondatore dell’Unione europea e che ha il suo ex primo ministro, Jean-Claude Juncker, alla presidenza della Commissione, ha permesso a più di trecento multinazionali di alleggerire il loro carico fiscale pagando le tasse sul suo territorio.

In altre parole il granducato ha attuato una specie di sottocosto fiscale su larga scala, penalizzando soprattutto gli altri paesi dell’Unione, che dovrebbero essere i suoi partner principali. La notizia fa scalpore in tutto il mondo e specialmente in Europa. A Bordeaux, durante due giorni di dibattiti sull’Europa aperti a tutti gli abitanti della regione, l’inchiesta ha alimentato discussioni accalorate. I difensori dell’unità europea hanno accusato il colpo, mentre i loro avversari considerano la vicenda come l’ennesima giustificazione della loro eurofobia.

Eppure queste pratiche, per quanto vergognose e inaccettabili, non sono illegali. Lo dimostra il caso del Lussemburgo ma anche quello dell’Irlanda e dei Paesi Bassi. Diversi paesi dentro e fuori dall’Unione europea (spesso piccoli stati) rivendicano la politica di imporre alle aziende tasse minime per attirare nuovi introiti fiscali, seppure modesti.

Si chiama concorrenza, una concorrenza detestabile perché impoverisce gli stati e di conseguenza anche intere società le cui infrastrutture dipendono dalla redistribuzione delle imposte. Queste pratiche, che si sono affermate sempre di più dopo il trionfo mondiale del neoliberismo negli anni ottanta, oggi rappresentano uno scandalo morale e un paradosso, perché quando gli stati non hanno più mezzi per garantire il funzionamento accettabile dell’istruzione, dei mezzi di trasporto e del sistema sanitario è tutta l’economia a farne le spese, a cominciare dalle imprese.

Siamo davanti a una sconfortante ottusità, e la cosa peggiore è che tutto questo accade all’interno dell’Unione europea e in un paese dell’eurozona. C’è da chiedersi come sia possibile, e la risposta è che il fisco (come d’altronde i sistemi di protezione sociale) è appannaggio degli stati membri, che non hanno alcuna intenzione di cedere questa prerogativa. Abbiamo una moneta unica ma non una fiscalità comune. È un’assurdità, ma tutti quelli che la denunciano si sentono rispondere sempre con le stesse due parole: sovranità nazionale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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