10 novembre 2014 09:48

Sui megaschermi allestiti nelle strade di Berlino le immagini più commoventi non erano quelle della caduta del muro. In questa festa popolare così fraterna e sobria, le istantanee più forti erano quelle della costruzione del muro.

Operai che si affannano per montare i blocchi di calcestruzzo mentre dai due lati le persone piangono impotenti, salgono in punta di piedi o si arrampicano per vedersi e parlarsi per l’ultima volta mentre il muro che li separerà diventa sempre più alto. A colpire oggi non è tanto la leggerezza di 25 anni fa, ma le scene del 1961, del momento più nero della guerra fredda. Il motivo è semplice: fatalmente cominciamo a dimenticare cosa significò quella separazione fisica dell’Europa e di Berlino.

Non sappiamo più, in Europa, cosa significa essere imprigionati nel proprio paese. Non sappiamo più cosa sono la paura permanente e l’obbligo di aderire al partito unico per avere un posto di lavoro qualsiasi, anche in una scuola materna. Non sappiamo più che Varsavia, Praga, Budapest e Berlino Est erano “l’altra Europa”, un’Europa dimenticata, un altro mondo che consideravamo eterno, e invece…

E invece alla fine quel mondo è cambiato, non con la forza delle armi ma grazie alla lucidità, al coraggio e alla volontà incrollabile sia dei dissidenti sia dei riformatori sovietici, eroi così diversi ma convergenti e rappresentati il 9 novembre 2014 nelle strade di Berlino da Lech Wałęsa e Michail Gorbačëv, entrambi applauditissimi ovunque.

L’elettromeccanico di Danzica, l’uomo che nel 1980 ha messo in sciopero generale la Polonia e ha creato Solidarność, il primo sindacato libero del mondo comunista, aveva ricordato al mondo che l’altra Europa era pur sempre Europa e aveva dimostrato per la prima volta che no, il comunismo non era immortale.

Il ruolo di Wałęsa e degli altri dissidenti è stato fondamentale, ma la svolta non sarebbe mai stata possibile senza Gorbačëv e la generazione di quadri del partito sovietico arrivati alla dirigenza all’epoca della destalinizzazione, gli stessi che sognavano in segreto un’evoluzione verso la socialdemocrazia. Se la fine della guerra fredda è stata possibile senza un conflitto armato lo dobbiamo a questi uomini che volevano la libertà per il loro paese e per tutto il blocco
sovietico.

La loro determinazione è stata incredibile, e oggi possiamo capire il vigore con cui Gorbačëv (ancora lucidissimo a 83 anni) ha denunciato gli errori dell’occidente nei confronti della Russia – a cui è stato permesso di tornare all’autoritarismo – e la mancanza di carattere e immaginazione degli attuali leader mondiali, che lasciano campo libero al caos e alle guerre, perfino in Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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