29 giugno 2015 09:23

La situazione è critica, ma non ancora disperata. Lo scenario attuale è molto preoccupante innanzitutto per i greci, che venerdì si sono pericolosamente riavvicinati a un’uscita dall’euro che li costringerebbe a tornare a una valuta nazionale (la dracma) il cui valore sarebbe quanto meno dimezzato rispetto alla moneta unica. Atene, fortemente indebitata e costretta a importare gran parte delle materie prime, non avrebbe più la possibilità di chiedere denaro in prestito.

Allo stesso tempo la situazione è altrettanto inquietante per l’eurozona, perché se la solidarietà dei 18 stati dell’euro fosse messa in dubbio i tassi d’interesse potrebbero aumentare sensibilmente per i paesi più fragili. Per fortuna, però, non siamo ancora arrivati a questa svolta drammatica, perché il default di pagamento in cui la Grecia si troverà martedì sera sarà esclusivamente tecnico. Atene non potrà rimborsare il denaro dovuto al Fondo monetario internazionale (Fmi), dal quale non potrà più ottenere prestiti. Tuttavia i beni greci non saranno confiscati in giro per il mondo, e il paese riuscirà ad arrivare al referendum di domenica.

Una settimana può essere molto lunga, e i paesi dell’eurozona faranno il possibile per convincere gli elettori greci che è nel loro interesse conservare la moneta unica. Domenica i leader dell’eurozona si sono messi d’accordo per far presente alla Grecia che il suo governo ha tutto il diritto di consultare la popolazione, che non c’è motivo di far saltare il negoziato e che sono pronti a riprendere la trattativa quando il governo Tsipras lo vorrà.

Da lunedì sarà questo l’approccio che dovrebbero adottare il presidente della Commissione europea e i leader di Germania, Francia e delle altre capitali dell’Unione. L’eurozona comunicherà di essere pronta a negoziare, a partire dall’autunno, un “adeguamento” del debito greco in cambio di un accordo sulle questioni di bilancio. In poche parole l’Europa cercherà di riportare la Grecia al tavolo dei negoziati al più presto possibile per ottenere un compromesso che i leader greci possano “vendere” ai loro elettori domenica prossima. Ma cosa accadrebbe se anche questo tentativo fallisse?

Non lo sappiamo, perché non possiamo prevedere quale sarà la flessibilità del governo greco se il referendum sancisse il rifiuto delle proposte europee né quale sarebbe il comportamento dell’esecutivo di Tsipras se fosse sfiduciato dal voto popolare (eventualità certamente possibile, perché la maggior parte dei greci vuole restare nell’euro e perché la chiusura delle banche spaventerà la popolazione).

Per il momento l’unica certezza è che una vittoria del “no” ad Atene renderebbe ancora più urgente una maggiore unificazione politica dell’eurozona per rafforzarne la credibilità.

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