13 dicembre 2017 11:14

Esattamente una settimana fa, il 6 dicembre, Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. Da allora tutto è cambiato, in peggio, rispetto ai conflitti di lungo corso.

Al momento le strade della terra che chiamano “santa” non sono inondate dal sangue, anche perché i palestinesi sono esausti dopo una lunga serie di sconfitte. Il mondo arabo non è avvolto dalle fiamme. Le guerre lo dilaniano da troppo tempo perché possa permettersi di scatenarne un’altra. Ci sono state manifestazioni e ce ne saranno altre, ma la vera conseguenza della decisone di Trump è un’altra, e ben più grave.

Schierandosi al fianco degli israeliani sulla questione di Gerusalemme, il presidente americano ha precluso al suo paese la possibilità di fare da arbitro nel conflitto, un ruolo che gli Stati Uniti hanno ricoperto (pur senza molti successi) per diversi decenni.

Poco da negoziare
Non solo Trump ha lasciato i due schieramenti liberi di scontrarsi senza nessuno che faccia da intermediario e possa portarli al tavolo dei negoziati, ma ha distrutto l’idea di un compromesso. Con la colonizzazione che continua a svilupparsi in Cisgiordania e l’impossibilità di tornare in tempi brevi all’opzione di una divisione di Gerusalemme per creare la capitale della Palestina accanto a quella di Israele, è evidente che non c’è più quasi nulla da negoziare.

Il vecchio sogno della destra israeliana sta per realizzarsi. Israele sta recuperando le sue frontiere bibliche, quelle del grande stato ebraico che non lascia alcuno spazio a uno stato palestinese. Dato che la coesistenza dei due stati sembra una possibilità tramontata, l’unico esito pare essere quello dello stato binazionale.

Donald Trump ha aperto le porte a un caos ben peggiore di quello che abbiamo conosciuto fino a ieri

Saeb Erekat, veterano del negoziato di pace e segretario generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha immediatamente capito la situazione, dichiarando al quotidiano israeliano Haaretz che i palestinesi non hanno più altra scelta se non quella di rivendicare l’uguaglianza all’interno di uno stato unico. “La nostra lotta dovrà concentrarsi su questo obiettivo di parità dei diritti”.

Non tutti i palestinesi saranno subito d’accordo, ma quando capiranno cosa vuole davvero suggerirgli Saeb Erekat, Israele si troverà davanti a un dilemma irrisolvibile: rinunciare alla sua ragion d’essere, ovvero la creazione di uno stato nazionale ebraico, o diventare uno stato di apartheid in cui ebrei e palestinesi non avranno gli stessi diritti.

Donald Trump ha aperto le porte a un caos ben peggiore di quello che abbiamo conosciuto fino a ieri. Il presidente americano si presenta come amico di Israele, ma è uno di quegli amici per cui vale il detto “proteggetemi dai miei amici che io mi occupo dei nemici”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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