09 gennaio 2018 11:35

Le dittature agghindate da democrazie sono definite da alcuni “democrature”. Potremmo anche parlare di democrazie non liberali come quella di Viktor Orbán, primo ministro ungherese che si è fatto cantore di questa nuova forma di governo, o magari di democrazie “illiberali” come ha fatto Emmanuel Macron sottolineandone i pericoli la settimana scorsa. È lecito pensare che la moltiplicazione di questi fenomeni sia il segno di un arretramento della democrazia?

No, perché significherebbe fare confusione tra due aspetti. È vero, ci sono sempre più paesi che pur organizzando elezioni ogni quattro o cinque anni presentano una libertà di espressione (soprattutto audiovisiva) ridotta o del tutto assente e partiti al potere che praticano la violenza e la pressione, impedendo qualsiasi dibattito e la sopravvivenza di una vera democrazia.

Perfino all’interno dell’Unione europea, Ungheria e Polonia si sono incamminate su questa strada. La Turchia, la Russia e l’Iran, paesi dove la libertà si riduce al diritto di voto, sono altri esempi attuali. In Africa e nel mondo arabo queste “democrature” sono numerosissime, ma c’è un’altra realtà innegabile.

Piccoli passi avanti
A partire dagli anni ottanta, quindi negli ultimi decenni, la democrazia si è diffusa in tutto il mondo e la dittatura ha fatto passi indietro. Non esistono più dittature militari in America Latina né paesi comunisti o fascisti in Europa, mentre le libertà e lo stato di diritto fanno piccoli ma significativi passi avanti in Africa.

Naturalmente non possiamo dimenticare ciò che succede in Ungheria, Polonia e Russia, ma nemmeno il fatto che la deriva di questi paesi non li ha riportati al comunismo. All’inizio del secolo la Turchia sembrava marciare verso la democrazia, ma la sua storia non è mai stata una storia di libertà, come d’altronde quella dell’Iran.

Insomma non c’è motivo per vedere tutto nero, anche perché il numero crescente di “democrature” significa che poche dittature accettano di presentarsi come tali. Oggi, infatti, bisogna necessariamente dichiararsi paladini della democrazia e farsi forti di una vittoria elettorale. Eppure, anche se la democrazia non arretra, è evidente che il nazionalismo sta avanzando e rappresenta il vero pericolo per la pace e la democrazia.

Di anno in anno, nei cinque continenti, aumenta costantemente il numero di elettori, intellettuali e partiti politici conquistati dall’idea che l’altro rappresenti un nemico e che bisognerebbe difendersi da tutti, ripristinare le barriere doganali e prendere decisioni politiche al di fuori delle organizzazioni multilaterali e delle convenzioni internazionali, come vorrebbe Donald Trump. I termini del dibattito sono chiaramente modificati, e se arriviamo al “tutti contro tutti”, il passo verso la limitazione delle libertà è breve e la pace diventa sempre più fragile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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