22 giugno 2018 15:41

Non è una certezza, al contrario. È perfettamente plausibile che domenica 24 giugno Recep Tayyip Erdoğan venga rieletto presidente e vinca anche le elezioni parlamentari organizzate nella stessa giornata. Eppure in questo momento è altrettanto possibile che perda almeno uno dei due scrutini, al punto tale che i suoi avversari più accaniti hanno cominciato a temere… la sua sconfitta.

Il paradosso è soltanto apparente, perché la situazione economica della Turchia è talmente disastrosa che le opposizioni potrebbero incontrare enormi difficoltà a governare, mentre il presidente uscente o quanto meno il suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) potrebbero trarre beneficio da una cura d’opposizione durante la quale potrebbero accusare i loro successori – alla presidenza, al parlamento o a entrambi – di tutti i mali futuri.

Laici o religiosi, conservatori o socialdemocratici, gli oppositori turchi si dividono tra i dubbi sui margini di manovra in caso di vittoria e la speranza di sconfiggere un uomo che in due anni ha imprigionato 50mila persone tra cui un centinaio di giornalisti, imposto uno spietato controllo giudiziario ad altrettante persone e licenziato oltre centomila funzionari, soldati e agenti di polizia accusandoli di aver partecipato al fallito colpo di stato del 2016.

Artefice di una reale democratizzazione del paese negli anni duemila, quando la Turchia sembrava avviata verso un ingresso nell’Unione europea, Erdoğan è diventato oggi un autocrate megalomane e repressivo. Ma allora come spiegare la possibilità di una sua sconfitta?

La risposta è che la Turchia non è una dittatura quanto piuttosto una “democratura”, un mix tra democrazia e dittatura in cui tutte le libertà vengono negate ma sopravvive il diritto di voto.

L’unica libertà è il voto
In Turchia non esiste più una stampa libera. Le emittenti televisive e radiofoniche sono sotto il completo controllo del potere. L’indipendenza della magistratura è soltanto un ricordo. È possibile essere imprigionati a lungo senza alcun processo. Eppure Erdoğan non ha mai pensato di abolire le elezioni, perché i suoi partner non glielo permetterebbero. La Turchia non è la Corea del Nord, e nemmeno Vladimir Putin ha osato tanto.

La verità è che la Turchia è un’altra Russia. Le tv trasmettono in diretta tutti i discorsi del presidente, mentre i candidati dell’opposizione sono praticamente assenti dagli schermi. Ciononostante domenica il “sultano” potrebbe essere battuto o almeno messo in difficoltà, perché oggi ci sono molte forze che gli sono avverse: usura del potere, degrado della situazione economica e qualità degli avversari. Erdoğan ne è talmente consapevole che pensa a un governo di coalizione, anche se in realtà non sembra crederci più di tanto. Staremo a vedere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it