15 novembre 2020 10:16

Il 25 ottobre il Cile ha deciso di sostituire la sua costituzione, ultima eredità della dittatura del generale Augusto Pinochet, con la prima costituzione al mondo che sarà scritta in forma paritaria, cioè da un’assemblea costituente formata per metà da uomini e per metà da donne. La nuova assemblea, composta da 155 persone, sarà eletta l’11 aprile 2021 e avrà un anno per presentare il nuovo testo. Sembra assurdo che nel 2020 non ci sia una costituzione paritaria al mondo. Per questo motivo è un passo avanti enorme per le cilene, che oggi rappresentano solo il 20 per cento del parlamento, e per le donne di tutto il mondo.

In Cile l’aborto terapeutico (in caso di stupro, rischio di morte della madre e d’impossibilità di sopravvivenza del feto) è stato introdotto solo nel 2017. Fino a poche settimane fa le donne non potevano sposarsi prima che fossero passati almeno 270 giorni dal divorzio o dalla morte del marito, per evitare dubbi sulla paternità dei figli. L’intenzione del movimento femminista è quella di avere una costituzione che preveda l’uguaglianza totale tra uomini e donne e corregga alcune ingiustizie storiche.

La vittoria del movimento femminista nel referendum sulla nuova costituzione è la chiusura perfetta di un ciclo cominciato negli anni ottanta, quando le donne di varie correnti si opposero al regime di Pinochet e si unirono in un movimento chiamato Mujeres por la democracia, manifestando nelle piazze in silenzio e sfidando gli idranti della polizia. Sono state le donne a riaccendere le proteste alla fine del 2019, quando il collettivo Las Tesis ha messo i loro diritti al centro del dibattito.

Quando queste proteste erano ormai deboli e fiaccate dalla violenza, un gruppo di donne ha interrotto il traffico in piazza Anibal Pinto, a Valparaíso, e ha cantato Un violador en tu camino: “Il patriarcato punta il dito e ci giudica impunito. Il nostro castigo è la violenza che ora vivo. Femminicidio. Impunità per l’assassino. È l’abuso, è lo stupro. E la colpa non è la mia, né dentro casa, né per la via. L’assassino sei tu, lo stupratore sei tu”. Con il volto dipinto di nero, le donne hanno trasformato il ritornello in un inno mondiale: “E la colpa non era mia né di dove stavo né di come vestivo. Lo stupratore eri tu”. La performance ha denunciato non solo un’ingiustizia sociale ma anche la repressione della polizia. In trenta giorni di manifestazioni, Human rights watch ha registrato 71 denunce di abusi sessuali. A Santiago molte donne più anziane si sono unite alle più giovani. E questo ha fatto scendere il popolo nelle strade, costringendo il presidente cileno Sebastián Piñera a proporre un nuovo patto sociale.

Il passato alle spalle
La costituzione attualmente in vigore fu imposta nel 1980 da un regime militare che torturava, uccideva o faceva sparire gli oppositori. Durante il periodo democratico, in cui i cileni hanno votato presidenti di sinistra e di destra, la costituzione è stata emendata e riformata. Oggi il Cile è una delle democrazie più solide dell’America Latina, ma la riscrittura della carta fondamentale ha comunque un valore simbolico, perché porterà alla firma di un nuovo contratto sociale. Questo forse non comporterà un cambiamento immediato, ma sancisce la volontà della maggioranza di combattere le discriminazioni.

La conquista delle cilene ha il sapore del successo anche per il movimento transnazionale nato nel 2015 in Argentina con Ni una menos (Non una di meno), collettivo che ha attirato l’attenzione dei mezzi d’informazione sul femminicidio. L’omicidio delle donne, un tempo chiamato “delitto passionale”, è un problema endemico nella regione, e finalmente ha cominciato a essere trattato per quello che è: un crimine d’odio, non di passione. In vari paesi sudamericani il movimento delle donne ha tratto forza dalle proteste dell’8 marzo, la giornata internazionale della donna.

In Brasile le manifestazioni hanno raggiunto l’apice nel 2018 con #EleNão, la protesta contro l’elezione di Jair Bolsonaro. Le contestazioni inoltre hanno trasformato le stesse partecipanti: le donne si sono accorte che i problemi vissuti in casa erano condivisi. Quando sono tornate a casa erano diverse, hanno discusso questi temi con i mariti, i fratelli, i padri e i nonni.

Un altro effetto delle proteste femministe (dove c’è rabbia, ma ci sono anche cuore, danza e lustrini) è che più persone partecipano al dibattito e scoprono che per fare politica non è indispensabile essere un deputato incravattato. Questa consapevolezza rafforza la presenza delle donne, della comunità lgbt, dei giovani, dei neri e degli abitanti delle periferie nella politica istituzionale e contribuisce a risolvere la crisi della rappresentanza. Come dice l’ex presidente cilena Michelle Bachelet, “quando una donna fa politica, cambia la donna. Ma quando tante donne fanno politica, cambia la politica”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul numero 1383 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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