10 marzo 2015 15:12

Sono nati i primi bambini italiani concepiti grazie alla cosiddetta fecondazione eterologa, una delle tecniche di fecondazione assistita. O meglio, i primi da donatrice italiana, perché, in questi anni, chi aveva bisogno di un gamete andava nei paesi dove l’eterologa non era illegale oppure ricorreva a una donazione “fai da te”. E questo accadeva solo nel caso di gameti maschili, poiché per quelli femminili c’è bisogno di ricorrere a un centro specializzato: il prelievo degli ovociti è tecnicamente molto più complicato di quello degli spermatozoi.

Il divieto risale al 2004 e alla legge 40 sulle tecniche riproduttive, ed era forse il più bizzarro tra i tanti presenti nella legge: perché dovrebbe essere vietato ricorrere a un gamete altrui? E perché sarebbe immorale?

Nessuna delle presunte ragioni suggerite dai sostenitori del divieto sembra ragionevole. Dal fantasma del “terzo incomodo” al tradimento, dalla sacralità del patrimonio genetico agli scenari da Mondo Nuovo o al presunto diritto di conoscere i “genitori” biologici, tutte omettono il motivo per cui si potrebbe aver bisogno di un gamete altrui: a causa di una patologia, di una menopausa precoce o per l’effetto di una chemioterapia.

Così come dimenticano un particolare fondamentale: chi crede che sia immorale può non farvi ricorso, senza però impedire agli altri di decidere diversamente. È chiaro che ci sono questioni da discutere (dalla mancanza dei donatori, soprattutto di donatrici, al profilo morale di un’eventuale commercializzazione), ma nessuna di queste è abbastanza forte da giustificare una proibizione legale.

Il 9 aprile 2014, la corte costituzionale ha giudicato illegittimo l’articolo 4, comma 3, che vietava “il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. La sentenza risponde anche a molte delle obiezioni: “Deve anzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa corte ha affermato, sia pure ad altri fini e in un ambito diverso, è riconducibile agli articoli 2, 3 e 31 della costituzione, poiché concerne la sfera privata e familiare.

Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà e, in particolare, un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza numero 332 del 2000).

La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera.

In tal senso va ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge numero 40 del 2004 sia appunto preordinata alla ‘tutela delle esigenze di procreazione’, da contemperare con ulteriori valori costituzionali, senza peraltro che sia stata riconosciuta a nessuno di essi una tutela assoluta, imponendosi un ragionevole bilanciamento tra gli stessi (sentenza numero 151 del 2009)”.

La donazione di gameti è così diventata legale in Italia, anche se la ripresa è stata lenta e complicata: le regioni hanno deciso in modo diverso rispetto alla copertura delle spese e la scarsità dei donatori pone il problema di come incoraggiare le donazioni.

La legge 40, entrata in vigore proprio undici anni fa, è finita in tribunale 33 volte e oggi è molto diversa dalla versione originaria. Cosa c’è ancora da cambiare per avere finalmente una buona legge? Il requisito di sterilità per l’accesso alle tecniche (che esclude, per esempio, chi ha un problema di patologie genetiche); la possibilità di ritirare il consenso solo “fino al momento della fecondazione dell’ovulo” e non al momento dell’impianto; l’accesso permesso solo alle coppie di sesso diverso, sposate o conviventi; il divieto di sperimentazione embrionale. A questi si potrebbe aggiungere il divieto di maternità surrogata.

Intanto il prossimo 14 aprile, la corte costituzionale si pronuncerà sulla legittimità del divieto di diagnosi di preimpianto per le coppie fertili con patologie genetiche, ovvero sulla possibilità di usare una tecnica che eviterebbe la trasmissione della malattia.

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