29 ottobre 2015 12:29

Aggiornamento 2 novembre 2015
Il presidente di Omeoimprese, Giovanni Gorga, ha detto che la prefazione del ministro della salute Beatrice Lorenzin al suo libro “Elogio dell’omeopatia” non era autorizzata e che il libro verrà ristampato senza questa prefazione.

Alla fine della scorsa estate il presidente di Omeoimprese, Giovanni Gorga, annunciava l’imminente pubblicazione del suo libro sull’omeopatia: “Elogio dell’omeopatia Giovanni Gorga Cairo Editore in libreria dal 3 settembre. Prefazione ministro della salute”.

Nei giorni successivi avrebbe aggiunto: “Libro per tutti!” e “Non una guida ai medicinali omeopatici, un saggio che svela molte verità…”.

Nelle settimane seguenti c’è stato qualche malumore proprio per la partecipazione di Beatrice Lorenzin. Ognuno pubblica quello che vuole, ovviamente, ma è opportuno che un ministro della salute scriva una prefazione a un libro che elogia l’omeopatia?

Prima ancora di leggere quello che ha scritto Lorenzin, potrebbe esserci un problema di opportunità politica e istituzionale. L’opportunità cioè per un ministro della salute di scrivere una prefazione a un libro che elogia una pratica dubbia, che non può essere definita “cura” perché non esiste alcuna evidenza che curi, cioè che non ci troviamo di fronte a una mera correlazione di eventi. Il pensiero alla base di questa credenza è il seguente: “Ho il raffreddore e ingollo il noto rimedio omeopatico, il raffreddore mi passa, il rimedio omeopatico mi ha fatto passare il raffreddore”.

Per poter affermare che qualcosa cura dobbiamo dimostrare che quel qualcosa è la causa di quell’effetto

Il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze (Cicap) ha scritto una lettera aperta al ministro: “Un ministro della salute ha il dovere istituzionale di comunicare ai cittadini quale sia la posizione della comunità scientifica nei confronti delle terapie disponibili. […] L’omeopatia gode di popolarità e consenso, ma nessuno ha mai dimostrato che essa possa ottenere risultati superiori al semplice effetto placebo, cioè è priva di efficacia specifica”.

Leggere la prefazione (meno di trenta righe) non fa che peggiorare il panorama. Lorenzin comincia dando qualche numero. Undici milioni di persone avrebbero fatto ricorso a “metodi di cura non convenzionali” e poi, riferendosi all’omeopatia in particolare, scrive: “Questa metodica di cura vede ancora aperta la questione del suo riconoscimento”.

Un ossimoro, nella migliore delle interpretazioni. Perché per poter affermare che qualcosa cura dovremmo potere dimostrare che quel qualcosa sia la causa di quell’effetto (la cura). O per usare le parole di Lorenzin, che la questione del riconoscimento non sia ancora aperta.

La libertà di scelta

Ma poi va peggio. Si ricorda infatti che si è “dato seguito al recepimento della normativa di riferimento dell’Unione europea allargandola alla possibilità che i prodotti omeopatici in commercio dal 1996 dovranno essere regolati con procedura semplificata di registrazione entro il 31 dicembre 2018 anche nel rispetto della libertà di scelta riconosciuta ai cittadini e con piena garanzia della sicurezza di questi prodotti per la tutela della salute dei pazienti”.

La libertà di scelta di comprare qualsiasi prodotto e di credere che un rimedio dubbio sia curativo è indiscutibile. Possiamo scegliere anche soluzioni insoddisfacenti o dannose o false, ed è giusto che sia così. Ma il dovere di un’istituzione sanitaria è un altro.

La linea ambigua e ammiccante è confermata dalle righe finali: “Nel nostro paese non esiste alcuna preclusione né ideologica né normativa verso le cure non convenzionali in generale e, in particolare, per l’omeopatia. Quello che ci anima è la consapevolezza che si tratta di una questione di grande rilevanza sociale che può aprire a nuove opportunità di cura”.

Cos’è l’omeopatia? Spesso la si scambia con altro, contribuendo così alla confusione

Dovrebbe esistere una preclusione scientifica. Quante ricerche ci vogliono per dimostrare che l’omeopatia non cura? In un sistema di risorse limitate – com’è quello sanitario – possiamo permetterci di perdere tempo e soldi sui rimedi illusori? Possiamo affidarci al pensiero magico e al sospetto intrinseco verso Big pharma? Il sospetto è sempre legittimo e benefico se significa attenzione verso eventuali abusi o errori, ma il complottismo è un’altra cosa e anche i prodotti omeopatici sono confezionati da industrie e non da associazioni filantropiche.

Certo, affermare che l’omeopatia sia acqua fresca non è popolare. Tutti quelli che dicono “Con me ha funzionato!” non sono pronti a riconoscere che quanto è successo loro è placebo o remissione spontanea, e comunque non l’effetto della causa omeopatica.

“Cure non convenzionali”, poi, è un modo seduttivo per dire “rimedi che non abbiamo potuto dimostrare essere in grado di curare ma che hanno fatto bene a mio cugino, non è detto che siano ripetibili e non siamo in grado di dimostrarne il potere di causazione”.

Un problema di definizione

C’è anche un problema di definizione. Cos’è l’omeopatia? Spesso la si scambia con altro, contribuendo così alla confusione. La vera omeopatia è acqua (o meglio, la memoria dell’acqua), cioè l’idea che di un principio attivo ormai annullato dalle diluizioni possa restare la “memoria” di come funzionava quand’era presente in dosi tali da poter funzionare. È una credenza non fondata, dimostrata più volte essere tale. Quello che funziona è al più analogo all’effetto placebo.

E qui siamo sulla soglia di un perfetto paradosso morale: se è placebo, chi lo assume non deve sapere che non sta assumendo un principio attivo; se lo sapesse il placebo evaporerebbe (perché è proprio la credenza che io stia assumendo un farmaco a funzionare come se fosse un farmaco). Ma chi vuole prendersi la responsabilità (morale e legale) di ingannare un paziente? Chi ha voglia di “curare” qualcuno dandogli acqua fresca, rischiando magari di farlo morire? Finché è un raffreddore i rischi sono molto limitati, ma con patologie serie l’illusione di curare può essere molto pericolosa.

L’omeopatia non è una cura, nemmeno non convenzionale. Uno degli ultimi studi in merito è quello del Consiglio nazionale della salute e della ricerca medica australiano dello scorso marzo.

Confidare in un flacone di acqua e scambiarlo per un farmaco è molto pericoloso

Gorga nel suo Elogio della omeopatia dedica un paragrafo anche alla “medicina antroposofica”, ovvero quella bizzarra disciplina che si fonda sul principio che “ogni organismo è regolato non solo dalle leggi chimico-fisiche, ma anche da tutte quelle leggi che stanno a fondamento delle manifestazioni psichiche e spirituali nell’uomo, nella natura e nell’universo stesso”. E l’uomo sarebbe caratterizzato da quattro parti “che si trovano in relazione con gli elementi del cosmo e della natura in senso lato: prima di tutto il corpo eterico in relazione con il regno vegetale, a seguire il corpo astrale in relazione al regno animale e, per concludere, il corpo spirituale, l’io che distingue ogni uomo da un altro”. Vi fidereste davvero di un curatore che si ispira a princìpi del genere? Sono scelte individuali, ma se una “medicina” come questa ottiene un qualche riconoscimento istituzionale non è più una questione di libertà personale.

Insomma, confidare in un flacone di acqua e scambiarlo per un farmaco è molto pericoloso. Non solo denota difficoltà a distinguere tra processo di causazione e correlazione, fatica nel capire l’insensatezza (anche statistica) nel ripetere a ogni obiezione “a me ha fatto passare il raffreddore!”, ma in presenza di patologie serie e che non hanno una remissione spontanea (spesso scambiata per l’effetto di quelle pillole omeopatiche) si ritarda la cura, e gli esiti possono essere molto dannosi o addirittura fatali.

Tutti sono liberi di affidarsi a prodotti omeopatici o di curarsi con il veleno di scorpione, ma le istituzioni dovrebbero evitare di ammiccare a rimedi dubbi e a metodi che non sono tali.

Intoppi cognitivi

Che siano in tanti a farne uso (l’Istat parla del 4 per cento degli italiani) non è rilevante, come non lo è che molte farmacie ne siano invase. L’omeopatia è una moda, per i produttori un commercio molto florido, per i credenti una forma di cura più “naturale” e meno aggressiva della perfida medicina basate sulle evidenze scientifiche.

La fiducia che fenomeni come l’omeopatia riescono a suscitare è il risultato di molte componenti e di intoppi cognitivi radicati nel nostro sistema nervoso, adatto a un mondo molto più semplice di quello in cui viviamo. Le credenze più resistenti crollano davanti agli studi condotti con metodologie rigorose, ma possiamo accorgercene solo a patto che accettiamo quel rigore e non lo scambiamo per un piano ordito dalle multinazionali del farmaco per sabotarci e per farci ammalare, così poi possono arricchirsi (vi siete mai chiesti come se la passano i produttori omeopatici?).

Nemmeno il numero dei consumatori è così alto come in genere si crede. Secondo il servizio sanitario nazionale britannico negli ultimi anni c’è stato un declino, passando da oltre 160mila prescrizioni a metà degli anni novanta alle meno di 20mila nel 2012.

I numeri comunque non hanno mai fatto funzionare qualcosa che non funziona. È un pensiero magico collettivo, affascinante antropologicamente ma inattivo proprio come un principio omeopatico.

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