Avviso: in caso non sappiate nulla dell’Iliade o del Nuovo Testamento questa recensione potrebbe contenere spoiler.

Il fumettista scozzese Grant Morrison nel suo libro del 2011 Supergods ha esplorato in lungo e in largo il potenziale mitologico dei supereroi e la loro capacità di rinnovarsi e di cambiare forma per parlare a generazioni diverse. Sono nati come giustizieri in calzamaglia nella letteratura pulp degli anni venti e trenta, per evolversi fino a diventare i semidei psicotici che ci appassionano oggi.

Batman v Superman: dawn of justice di Zack Snyder, nel canone dei film di supereroi, è quello che più coraggiosamente, e con la giusta dose di hybris, di superbia, compie il passo verso il racconto mitografico. Basta girarci intorno: Superman è un dio. Batman è l’umano prescelto per sfidarlo, l’umanità sta lì a guardare e ne uscirà devastata e, forse, purificata.

Batman v Superman: dawn of justice

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Per differenziarsi dallo scoppiettante universo Marvel/Disney, DC Comics/Warner deve fare qualcosa di eclatante e quindi punta su questo ambizioso poema epico che deve, soprattutto, fare da mito fondativo per una serie di spinoff. Batman v Superman è un gigantesco reboot in cui non solo si rimettono a punto i vari personaggi, ma si cambia radicalmente linguaggio. Snyder prosciuga la storia di qualunque riferimento all’estetica dei fumetti: i giochini metalinguistici dei film Marvel (i cameo di Stan Lee, una certa leggerezza anche nelle scene più forti) scompaiono per lasciare spazio a una tabula rasa su cui fondare un monumentale racconto mitologico, lo scontro tra titani che genererà un nuovo pantheon.

Nella migliore tradizione degli aedi dell’antichità, si inizia con un prologo, anzi un proemio: nei titoli di testa assistiamo all’origine di Batman. È la quinta volta, dal film di Tim Burton del 1989, che ci viene narrata la storia dei genitori del piccolo Bruce Wayne uccisi all’uscita da un cinema. Qui la vicenda è spostata al 1981 e il film che la famiglia Wayne va a vedere in quella fatidica notte è Excalibur di John Boorman, un film ad altissimo potenziale mitografico che Snyder cita di proposito come avvertimento: qui non si parla di giornaletti ma di cinema e di mito.

Il film vero e proprio inizia con una guerra. Con “l’ira funesta che infiniti addusse lutti” a Metropolis. La città è devastata e Batman e Superman sono vicinissimi ma ancora non si conoscono. È uno dei migliori momenti del film, l’unico in cui ci si gode un momento di sospensione, di stupore. Già nella scena dopo siamo piombati nell’abisso del nuovo mondo di Batman e Superman, una lenta e oscura caduta degli dèi punteggiata da una colonna sonora tanto fragorosa quanto invadente, un Carmina burana techno-sinfonico firmato dall’eterno Hans Zimmer e da Junkie XL.

Gradualmente il mito pagano diventa cristiano, come nella migliore tradizione sincretista

Mentre il film si chiede se Superman sia o non sia un dio e che responsabilità abbia nei confronti dell’umanità, mentre esplora la psicosi di Batman e la follia di Lex Luthor, Snyder si diverte a cambiare freneticamente registro. Si passa dal film catastrofico più classico a 007 (la prima apparizione di Diana Prince/Wonder Woman è da classica Bond girl), da Alien (la sequenza nella nave kryptoniana è puro Hans Giger) a Pacific rim nella battaglia acquatica finale. È come se Snyder volesse sottolineare, a ogni inquadratura, che sta facendo cinema e non fumetti.

E gradualmente il mito pagano diventa cristiano, come nella migliore tradizione sincretista. Batman “tradisce” Superman (viene detto esplicitamente dall’uomo pipistrello) e inizia la Passione. Superman sanguina? Si chiede Batman… sì sanguina eccome, e s’immola, riconoscendo finalmente la sua natura umana. Completano il quadro le pie donne: una Lois Lane Maddalena piangente e la mater dolorosa, una scarmigliata Diane Lane. Snyder non lesina le metafore: il mantello di Superman è un perfetto sudario e la scena in cui viene raccolto è sensuale e solenne come la Deposizione Borghese di Raffaello.

Il pregio di questo film è il coraggio protervo con cui Snyder ha abbracciato la natura mitologica dei supereroi. Il suo difetto è che Snyder non è l’Omero dei superdei ma al massimo è un poeta alessandrino che, arrivato al trentesimo canto del suo poema, capisce che forse procedere per accumulo non è stata l’idea migliore. Batman v Superman è lunghissimo, ipertrofico e barocco, ci stordisce con citazioni e grandi trovate ma ci lascia, alla fine, svuotati e con una gran voglia di leggerci un giornaletto.

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