09 novembre 2020 14:16

Premessa: mi è tornata in mente Sophie Ellis-Bextor perché la settimana scorsa è uscito un suo video che secondo me è la dimostrazione di come il pop possa raccontare il tempo della pandemia meglio di tanti altri prodotti culturali. Ellis-Bextor ha fatto una cosa semplice: ha girato il suo video per Crying at the discotheque (praticamente la cover di una cover) in una serie di locali londinesi vuoti. Lei si aggira per le strade desolate di Soho, in pieno giorno, con una tutina di paillettes che la fa sembrare una mesta controfigura di Ziggy Stardust e mette su il suo show, sorriso smagliante e scarpine glitterate, per un pubblico di sedie vuote, di discoteche deserte, di arene abbandonate e di salette di pub che sanno di muffa e di disinfettante per pavimenti. E il testo della canzone, con i fiumi di lacrime versate in discoteca, si adatta perfettamente alla sua esibizione lunare. E ci regala un momento di commovente perfezione pop. Fine della premessa.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Sophie Ellis-Bextor è da vent’anni una presenza inquieta e intelligente nel panorama britannico. È una cantante che gioca nello stesso campionato dance pop di icone come Madonna, Kylie Minogue e Cher ma sempre da outsider. Non ha mai fatto mistero di sentirsi soprattutto un’artista indie-rock e ha sempre cercato di infilare riferimenti alle sue radici musicali appena poteva: il suo album di esordio, Read my lips, oltre a hit disco-pop come Murder on the dancefloor e Take me home, conteneva Move this mountain che poteva tranquillamente essere un buon pezzo dei Garbage.
Sophie Ellis-Bextor è abbastanza londinese da aver metabolizzato la porosità tra post-punk, Northern soul e disco music ed è abbastanza colta da esserne ben cosciente. Eppure quando, nel 2014, decide di dare una sterzata alla sua carriera, imbocca una strada completamente diversa e molto più impervia.

Con Wanderlust decide di fare un album di baroque pop, sovraccarico e sentimentale, ispirato, molto alla lontana, a una certa sensibilità russa. A produrlo c’è il cantautore inglese Ed Harcourt, la quintessenza del romanticismo del nuovo millennio, con salde radici musicali ed estetiche in Tom Waits, Nick Cave e Jeff Buckley. Sophie Ellis-Bextor opera un’impavida trasformazione da luccicante disco diva a tormentata eroina romantica. Il primo singolo tratto dall’album, Young blood, è una delle canzoni migliori del suo repertorio ma la allontana dalle paillettes, dai boa di struzzo e dai ritornelli impeccabili del suo personaggio pop. Il resto dell’album è diseguale, ma la sintonia con la sensibilità di Ed Harcourt è completa.

Wanderlust forse non era l’album che i suoi fan volevano, ma ha permesso a Sophie Ellis-Bextor di esplorare mondi diversi e di dimostrare, soprattutto a se stessa, che cambiare si può. È un album invernale, passionale e massimalista che volteggia impavido sulla corda tesa del kitsch. Ma è sicuramente un disco da salvare perché non c’è spettacolo più affascinante di vedere un’artista che si avventura con tanto entusiasmo fuori dalla sua zona di sicurezza.

Sophie Ellis-Bextor
Wanderlust
EBGB’s, 2014

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it