30 novembre 2020 13:54

Sul finire degli anni novanta gli Everything but the Girl (coppia nell’arte e nella vita di Ben Watt e Tracey Thorn) erano creativamente prosciugati. Avevano già vissuto varie vite; erano stati raffinati cantautori post-punk, brillanti popstar anni ottanta e sorprendenti alchimisti drum ‘n’ bass. Temperamental, il loro ultimo lavoro come duo, non è nato sotto i migliori auspici. Avevano in mente di fare un album dance, ma un po’ per stanchezza e un po’ perché Tracey Thorn aveva appena partorito, il loro progetto ha avuto una genesi accidentata.

Per la prima volta Tracey e Ben si sono ritrovati a lavorare separatamente pur vivendo insieme: lui componeva, scriveva buona parte dei testi e montava i campionamenti in studio; lei registrava le tracce vocali a casa, spesso di notte e in assoluta solitudine. “Ero totalmente assorbita nel mondo delle gemelle appena nate ed ero contenta così”, racconta Thorn nella sua autobiografia Bedsit disco queen, “Ben invece scriveva canzoni che parlavano di uscire e di andare a ballare e io, tra una poppata e l’altra, mi trascinavo di sotto, accendevo il mio piccolo monitor e registravo. Mi piacevano le canzoni di Ben ma non sentivo di poter contribuire gran che al progetto: alla fine mi sono ritrovata a essere la cantante ospite nel disco di qualcun altro”.

Il risultato è un album dance molto sbilanciato sulla house, con canzoni particolarmente intimiste e introspettive. Ed è proprio l’equilibrio tra questa doppia natura delicatamente cantautoriale e marcatamente house a rendere l’album, poco capito dal pubblico e poco amato dalla band stessa, un piccolo miracolo. È un miracolo perché la spinta propulsiva di bassi scurissimi e la malinconia delle canzoni raccontano l’altra faccia del clubbing: quello che rimane della seratona, quello che sentiamo quando l’adrenalina della musica, dei drink e delle droghe è calata.

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L’aria distaccata di Tracey Thorn (“ospite nel disco di qualcun altro”) aumenta quel senso di straniamento che chiunque si ritrovi da solo fuori da un locale mentre albeggia conosce bene. Ci si può sentire soli in un posto pieno di gente sudata e felice alle tre di notte? Come descrivere quella sensazione di svuotamento dello stomaco, della testa e dell’anima che provi quando aspetti l’ultimo autobus notturno? Ho parlato troppo? Ho bevuto troppo? Mi sono reso ridicolo? Perché ho così freddo? Perché sono rimasto solo? Dove sono tutti? Dove è finita la mia felpa? E poi la fame, quella fame che ti mangeresti tutto: anche le patatine del McDonald’s abbandonate da qualcuno su un muretto umido. Temperamental segue il filo di tutti quei pensieri ingarbugliati, a volte inutilmente spietati e a volte penosamente autoassolutori, che s’inseguono nella testa mentre t’incammini da solo verso casa.

Temperamental è il decimo e ultimo album degli Everything but the Girl e si è faticosamente scavato una nicchia pur essendo troppo cantautoriale per il pubblico della dance e troppo dance per il pubblico dell’indie pop. Eppure resta un disco memorabile, curato anche nei dettagli: dai remix che uscivano a mano a mano ai disegni a matita, quasi dei reportage illustrati, dell’art director Graham Rounthwaite che comparivano sulle copertine dei vari singoli.

“Il vero problema è stato quando il disco è uscito”, ricorda Tracey Thorn nel suo libro: “Speravo che ci fosse qualcuno che mi dicesse: non è necessario che tu faccia la promozione, non è necessario che tu vada in tournée. Era terribile dover essere una brava mammina di giorno e una pop star di notte, un ruolo che per altro a me non è mai piaciuto”. Forse il fascino vero di Temperamental, a distanza di vent’anni, è tutto lì: nell’onestà con cui Tracey Thorn (che sta ancora insieme a Ben e con cui oggi ha tre figli grandi) ha affrontato in musica la sua crisi personale e creativa. È vero, cantava di malavoglia le canzoni dance del marito, ma era talmente onesta nel suo lavoro che riusciva lo stesso a parlare di sé senza nascondersi.

Everything but the Girl
Temperamental
Virgin, 1999

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