16 agosto 2022 13:05

Il 1978 è l’anno di Olivia Newton-John (1948-2022). Dopo una carriera quasi decennale nel country pop (con una hit, I honestly love you, che nel film Lo squalo suonava in una radiolina a transistor prima del secondo attacco del bestione), la cantante e attrice inglese naturalizzata australiana comincia una vertiginosa scalata al successo grazie alla sua partecipazione al film musicale Grease.

Olivia è nata a Cambridge, nel Regno Unito, nel 1948. Suo padre, Bryn Newton-John, lavorava nei servizi segreti britannici. Durante la guerra aveva collaborato al progetto Enigma ed era stato tra gli agenti che tennero in custodia Rudolf Hess dopo la sua cattura. Il nonno materno era il pioniere della meccanica quantistica e premio nobel per la fisica Max Born.

A 28 anni compiuti Olivia Newton-John sa bene di essere troppo vecchia e troppo australiana per il ruolo di Sandy in Grease, una liceale ultra-americana della fine degli anni cinquanta. Eppure basta un provino con John Travolta per trasformare la Sandy della sceneggiatura in Sandy Olsson, una liceale australiana che, da poco trasferita negli Stati Uniti, s’innamora del suo Danny Zuko. Il film fa diventare John Travolta e Olivia Newton-John le più grandi star per teen ager a cavallo tra anni settanta e ottanta. Il successo dei tre singoli Summer nights, Hopelessly devoted to you e soprattutto You’re the one that I want è anche un successo personale di John Farrar, autore e produttore di Olivia Newton-John fin dall’inizio della sua carriera. I pezzi che compone per lei e per Travolta sono dei pastiche anni sessanta con il suono nitido del pop radiofonico della fine degli anni settanta. Summer nights è un doo-wop aggiornato e You’re the one that I want, il duetto finale che vede Sandy trasformarsi da santarellina in vamp, è un pezzo che ricorda il vecchio rock’n’roll ma con la propulsione di una linea di basso inequivocabilmente disco. Musicalmente è proprio Grease ad aprire la lunga, cannibalesca ossessione che il pop degli anni ottanta ha coltivato per gli anni sessanta.

Quella che funziona davvero però è Olivia Newton-John. La metamorfosi di Sandy 1 (verginale clone di Debbie Reynolds, la fidanzatina d’America) in Sandy 2 (panterona in pantaloni di raso attillati, giubbotto di pelle e cotonatura più ottanta che sessanta) rimane incisa a fuoco nell’immaginario di una generazione. La sequenza in cui Sandy, incoraggiata dalle amiche, toglie la sigaretta dalle labbra scarlatte, la butta in terra e la spegne calpestandola con uno zoccolo dal tacco vertiginoso, è un momento di purissimo feticismo pop e il risveglio dei sensi per un’intera generazione di ragazzini e ragazzine. Sandy 2 era semplicemente il sesso. Quando, più o meno sei anni dopo, arriva Madonna con le sue calze di pizzo, i reggiseni a vista e quella scena in cui si asciuga le ascelle con il getto d’aria calda in un bagno pubblico, i quattordicenni degli anni ottanta l’abbracciano perché erano già stati svezzati dalla diabolica Sandy 2. John Farrar e Olivia Newton-John sanno bene che il punctum (per dirla come Roland Barthes) di Grease, soprattutto per il pubblico più giovane, era la scena della metamorfosi di Sandy. E quindi, quando cominciano a lavorare su un album di inediti, decidono di portare Sandy fuori da Grease e di farla evolvere in un album di pop adulto e sexy.

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Già il titolo e la copertina di Totally hot mostrano una Olivia Newton-John diversa da quella dei suoi nove album precedenti: la ragazza-bambina acqua e sapone che cantava inoffensive canzoni pop ricoperte da una glassa country è una donna adulta, vestita di pelle nera che, appoggiata a una colonna che potrebbe essere della hall di un hotel come di un garage sotterraneo, guarda direttamente nell’obiettivo, il trucco pesante e i capelli frettolosamente pettinati su un lato. Anche la sua voce è cambiata: rimane acuta e duttile, piena di quel vibrato che la rendeva così adorabile per il pubblico del country pop, ma suona più piena, più adulta e più sexy.

Le canzoni, scelte con astuzia insieme a Farrar, continuano a oscillare tra dolcezza e ruvidezza, tra finta ingenuità e provocazione maliziosa. Il tour de force pop rock che apre l’album, Please don’t keep me waiting, dura quasi sei minuti ed è la dichiarazione d’intenti di una donna che non è più una ragazzina e sa quello che vuole. “Non farmi aspettare, non ce la faccio più… lo so che mi vuoi anche tu”. Dopo un arpeggio di synth e chitarra, si sente la nuova voce di Olivia che attacca con il verso: “I want to love you once again”, voglio amarti una volta ancora. La Sandy confusa e romantica della prima parte di Grease è ormai una fotografia sbiadita, un lontano ricordo del liceo. I primi due singoli tratti da Totally hot, Deeper than the night e soprattutto A little more love, sono l’essenza del pop rock della fine degli anni settanta: canzoni dalla produzione immacolata, sapientemente in bilico tra il pop più aggiornato e il rock “adult contemporary” che imperversa nelle radio americane. Quando nell’insinuante A little more love, un’altra canzone che riflette su un amore che non funziona come dovrebbe, Olivia Newton-John canta “dov’è finita la mia innocenza?”, chi ascolta non può non pensare a un’evoluzione non idilliaca della storia tra Sandy e Danny di Grease. Totally hot, la canzone che dà il titolo all’album, è uno dei pochi pezzi che dirazzano dall’ortodossia soft rock: è un robusto pezzo rhythm’n’blues scritto da John Farrar. È il momento più sessualmente esplicito dell’album e una cartina tornasole di come un’artista pop bianca, per poter parlare più apertamente di sesso, dovesse ricalcare generi e stili afroamericani. Su questo argomento la critica musicale Ann Powers ha scritto un intero libro. Un altro pezzo rhythm’n’blues chiude in gloria l’album: è Gimme some lovin’ (scritta da Steve Winwood), che i Blues Brothers avrebbero reso una hit solo due anni dopo nel film di John Landis.

Si potrebbe liquidare Totally hot come un’accorta strategia per capitalizzare sul successo di Grease, l’album di passaggio che qualche anno dopo avrebbe permesso alla nuova Olivia Newton-John di definire il suono e lo stile degli anni ottanta con l’immacolata Physical, il suo numero uno in classifica più famoso. Eppure Totally hot, come album, è molto più interessante e coraggioso di Physical. Nella metamorfosi di Sandy in Grease e nella scaltrezza di Totally hot c’è la radice di tanta narrazione pop contemporanea: dalla verginità sexy degli esordi di Britney Spears, Christina Aguilera e Jessica Simpson alla trasformazione di Kylie Minogue da CuteKylie (Kylie carina) a SexKylie (Kylie dea del sesso) negli anni novanta, fino alle rivendicazioni sessuali delle più giovani pop star di oggi.

Kylie Minogue in particolare, anche lei australiana, è l’artista che più di tutte ha metabolizzato la lezione di Olivia Newton-John: ha intrapreso con naturalezza il passaggio da starlet dei teleromanzi, idolo degli adolescenti, a pop star globale; ha la stessa voce da soprano leggero tendente al vibrato e ha dimostrato la stessa capacità camaleontica di fare suoi gli stili e le tendenze pop del momento. Alla morte di Olivia Newton-John, il 9 agosto, Kylie ha twittato: “Da quando avevo dieci anni ho amato e ammirato Olivia Newton-John e sempre lo farò. Per me è stata e sempre rimarrà un’ispirazione”.

Olivia Newton-John
Totally hot
Mca, 1978

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