16 maggio 2023 12:57

A volte capita che una band faccia il suo disco della vita ma che se ne accorgano in pochi. Bloodletting, uscito nel 1990, è il terzo album dei californiani Concrete Blonde e per qualche imperscrutabile ragione non viene mai ricordato tra i capolavori del rock alternativo di quel periodo, insieme a Disintegration dei Cure, Bossanova dei Pixies e Pod delle Breeders. Eppure Bloodletting è un romantico, trascinante, struggente album di gothic rock che oggi più che mai fa rizzare i peli sul braccio già all’attacco del primo pezzo.

La band viene fondata nel 1982 ed è guidata dalla bassista e cantautrice Johnette Napolitano, un nome che sembra uscito da Grease. Prima dell’uscita di Bloodletting i Concrete Blonde erano noti per una hit minore intitolata God is a bullet e per la loro amicizia con Michael Stipe dei R.E.M., che suggerì a Napolitano, un’italoamericana dai capelli corvini, di chiamare la band “bionda di cemento”, proprio per suggerire quel precario equilibrio tra romanticismo, introspezione e rumore elettrico che caratterizzava il suono della band.

Bloodletting, che significa “salasso”, si apre con l’omonima canzone apertamente ispirata ai vampiri fascinosi e sexy creati dalla romanziera Anne Rice. Il film Intervista col vampiro, del 1994, era ancora di là da venire ma quell’estetica pop goticheggiante è già tutta nel trascinante e rumoroso pezzo di apertura. Napolitano vaga per le strade di New Orleans stordita dall’alcol e intuisce che l’amante che lei ha appena lasciato nel letto era un vampiro, e che lei è ormai un morto che cammina: “Andrò giù al fiume, dove è tiepido e verde, mi berrò una cosa e mi farò un giro, ho parecchie cose a cui pensare”. Difficile non ricordare Jeff Buckley che, sette anni dopo, anche lui con parecchie cose a cui pensare, scivolò in quello stesso fiume, la morte più romantica e letteraria del rock degli anni novanta.

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Dietro a tutta questa letteratura gotica e a questi struggimenti notturni c’è una storia d’amore andata male. È Johnette Napolitano stessa a rivelarlo in un’intervista a Spin nel 1990: “Bloodletting non è un dischetto allegro. Tutti nella band abbiamo avuto una serie di sfighe e Bloodletting è stato la fine di quel periodo. Io uscivo da una storia particolarmente sfortunata. Una cosa così non mi era mai capitata in ventinove anni di vita e mi ci è voluto un bel po’ per riprendermi. Avevo solo due possibilità: fare un disco per commiserarmi, questo album appunto, o prendere tutte quelle canzoni e buttarle in un cassetto”. Di una sola cosa Napolitano era certa: “Questo disco non si ripeterà mai più”. E infatti così è stato.

Bloodletting è un album notturno ma non malinconico: è pazzo, febbrile, illuminato da fulmini come la torre del castello del Rocky horror picture show. È un album che ha il coraggio di essere pop (soprattutto in pezzi memorabili come Joey) perché sa che può permetterselo. The sky is a poisonous garden, nei suoi due minuti e mezzo di durata, sconfina nel punk rock, mentre Darkening of the light è una ballata folk a più voci acida e allucinata. Tra gli ospiti dell’album si riconosce un piccolo gotha del rock alternativo statunitense: Peter Buck dei R.E.M., Andy Prieboy dei Wall of Voodoo e Gail Ann Dorsey, a lungo chitarrista e bassista di David Bowie.

Pur essendo stato registrato interamente a Londra, Bloodletting è la quintessenza del miglior pop rock californiano: è l’erede dark e un po’ sghembo dei Fleetwood Mac (non può essere un caso che anche qui ci sia un pezzo che s’intitola Caroline) e tra le righe ci si sentono anche le Go-Go’s e a volte perfino i Beach Boys. Perché la California è sì la terra del surf, del sole e dell’oceano, però tutta questa luce fa vedere meglio la spazzatura che marcisce fuori dai ristoranti e la decadenza della vecchia Hollywood ridotta a macerie di cartapesta. Fantasticare di vampiri e spettri tra le brume dei castelli scozzesi è facile, ma provate a coltivare fantasie gotiche e romantiche sotto il sole accecante del sud della California.

Johnette Napolitano è cresciuta a Hollywood, suo padre puliva le piscine dei divi e da bambina aveva conosciuto il grande Bela Lugosi che, ovviamente, la colpì molto. Crescere a Los Angeles significa conoscerne il lato oscuro, il cattivo odore, quello strano senso che ogni giorno sia una lunga, interminabile domenica d’estate tormentata da ossessioni e brutti ricordi.

Il mondo può essersi dimenticato di Bloodletting ma riascoltandolo oggi ci si ritrovano dentro tante cose che ci sono familiari: il glamour scombiccherato di Courtney Love, le stregonerie della prima Zola Jesus e il cupo ennui di Lana Del Rey.

Concrete Blonde
Bloodletting
I.R.S., 1990

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