17 luglio 2018 14:48

La nazione, si sa, torna in scena dopo essersene stata un po’ dietro le quinte. Naturalmente la destra ne è lieta e quella che convenzionalmente chiamiamo sinistra non vuole al solito essere da meno. Il problema però è che da tempo spirito e orgoglio nazionale non sono più autarchici. Pochi frettolosi esempi.

Scriviamo gialli eccellenti all’americana. Facciamo ottime serie televisive all’americana. Nei nostri romanzi i personaggi si vergognano di chiamarsi Giuseppe e optano per Gius. Ci dedichiamo all’autofiction alla francese, non a quella alla Dante o alla Cellini. E la politica? Il contratto di governo è a imitazione del detestato tedesco. Un uomo forte come Salvini non si appella al duce, a Berlusconi, prodotti caserecci, ma s’ispira a Trump (che pure qualcosa deve a Mussolini e a Berlusconi) e a Putin, nomi senza la vocale alla fine, perciò seducenti. Del resto s’è visto come il ministro dell’interno ha mutato Pontida in rampa di lancio del sovranismo europeo e intanto ha ridimensionato Alberto da Giussano, il dio fluviale di nome Po e il verde al collo che è diventato blu Le Pen.

L’orgoglio nazionale va bene, le sacre acque e il sacro suolo anche, ma viviamo pur sempre in tempi nei quali di qualcosa non si ha un sentimento ma un sentiment. Al vecchio primato morale e civile degli italiani rischiano di appellarsi solo Calenda o Zingaretti.

Questa rubrica è uscita il 13 luglio 2018 nel numero 1264 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati

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