Ringrazio Cécile Kyenge per avermi fornito l’occasione di tornare a scrivere di politica belga. Il 19 novembre, in un comunicato firmato insieme a due eurodeputati dei Verdi, i belgi Philippe Lamberts e Bart Staes, Kyenge ha invitato il ministro per le questioni d’asilo e immigrazione Theo Francken a visitare con loro una mostra sulla propaganda coloniale in Congo (oggi Repubblica Democratica del Congo). “È tempo che lei riveda la sua storia”, scrivono i tre eurodeputati, reagendo a un commento di Francken sul “valore aggiunto” della diaspora congolese, marocchina e algerina in Belgio.

La battuta, riesumata dai mezzi d’informazione il mese scorso, all’indomani della formazione del governo federale, risale al 2011. All’epoca Francken era un giovane (è nato nel 1978) deputato federale del partito nazionalista fiammingo N-VA. Commentando sulla sua pagina Facebook un articolo dell’Economist intitolato “The magic of diasporas”, Francken scriveva: “Posso concepire il valore aggiunto economico della diaspora ebrea, cinese e indiana, meno quello della diaspora marocchina, congolese o algerina”. Di fronte alle proteste – tanto dei diretti interessati quanto dei cittadini belgi perplessi sull’opportunità di affidare a un politico con opinioni simili il portafoglio dell’immigrazione e dell’asilo – Francken ha dovuto presentare le sue scuse in parlamento. Ne andava della sua poltrona.

Kyenge, Lamberts e Staes sottolineano il “legame evidente tra razzismo coloniale e razzismo odierno” e la disinvoltura con cui Francken alimenta “cliché e stereotipi ancora fortemente radicati nell’inconscio collettivo della società belga”. Sarebbe più giusto dire che il razzismo odierno, quel disprezzo décomplexé, disinibito, mostrato da Francken e tanti altri è legato a un passato di sfruttamento, non per forza coloniale. Marocco e Algeria sono due dei paesi con cui il Belgio firmò, rispettivamente nel 1964 e nel 1970, accordi simili a quelli stretti con l’Italia nell’immediato dopoguerra, per attirare forza lavoro a basso costo da spremere in fondo alle miniere. Ecco cosa intendeva Francken, forse senza nemmeno rendersene conto: ma come, non possiamo più sfruttarvi come un tempo, ci avete cacciati dalle colonie, le miniere hanno chiuso, e voi siete ancora tra i piedi?

Per rimediare almeno in parte al problema, il Belgio organizza regolarmente delle espulsioni collettive verso la Repubblica Democratica del Congo, spesso insieme ad altri paesi dell’Unione europea e con il sostegno dell’agenzia Frontex.

Il merito non è di Francken, di operazioni così ce ne sono da anni. Sull’ultimo volo, decollato il 4 novembre, c’erano una ventina di congolesi senza documenti. In questo momento, nel centro di identificazione ed espulsione 127 bis, pare siano da poco arrivate sette donne congolesi, dopo essere state arrestate in casa e portate in commissariato in manette. Quattro di loro avrebbero più di sessant’anni.
Lancio un invito a Kyenge, Lamberts e Staes: voi che in quanto parlamentari avete accesso ai centri di detenzione per stranieri, andate al 127 bis, a Steenokkerzeel, vicino all’aeroporto di Bruxelles, e chiedete di incontrare queste donne alle quali lo stato belga sta negando il benché minimo valore.

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