23 dicembre 2022 14:04

Zio Paperone è un pianeta, ovvero un mondo a sé stante, in realtà tutto da (ri)scoprire. Per festeggiare i suoi 75 anni – il personaggio ebbe infatti i suoi “natali” di prima pubblicazione nel dicembre 1947 – Panini Comics ha avuto l’eccellente idea di mandare nelle librerie una serie di imperdibili volumi, sia per i contenuti sia per l’obiettiva qualità di stampa e l’eleganza delle edizioni. Ve li raccontiamo sotto forma di piccolo saggio sperando che la sua struttura renderà facile a chi lo volesse interromperne la lettura e poi ritornarci senza perdere il filo e sperando di convincervi che si tratta di qualcosa di più di un perfetto regalo natalizio.

Cominciamo dal primo,Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni (224 pagine, 27,00 euro) che raccoglie solo storie del grande Carl Barks, cioè “l’uomo dei paperi”, come è stato definito.

Il regista cinese Jia Zhang-ke, uno dei maestri del cinema contemporaneo, racconta che tornando nel suo paese dopo gli studi di cinema ha trovato l’intera comunità alienata dai cellulari, dall’ossessione per lo status e dal tipo di comunicazione nevrotica che li accompagna. E infatti nei suoi film il cellulare ha spesso un importanza chiave. Nella storia Zio Paperone e la dollarallergia Paperone è afflitto da un’allergia per il denaro fino all’esaurimento nervoso e trova rifugio in un villaggio nascosto in una valle dimenticata che non conosce il valore dei soldi e di qualsiasi altra forma di ricchezza. Ma qualche tappo di bottiglia, mai visto dalla popolazione, sconvolge del tutto l’assetto sociale della comunità colpendo la psiche dei singoli.

Aguzzino con un pizzico di cuore
Questa geniale parabola, umoristica e anche satirica, è contenuta nell’antologia di sette racconti, usciti negli Stati Uniti tra il 1949 e il 1954, originariamente selezionati per un Oscar Mondadori del 1968 dal titolo omonimo che fece epoca e qui ripresi per questa edizione d’anniversario. Nel racconto dove fa la sua prima apparizione, Paperino e il Natale sul Monte Orso, l’orrido Scrooge McDuck (Zio Paperone, appunto) era ispirato allo strozzino Ebenezer Scrooge del Cantico di Natale di Charles Dickens e doveva essere un personaggio transitorio. In seguito Barks, intuendone le grandi potenzialità, ammorbidirà un po’ il personaggio. E tuttavia, come scrisse Dino Buzzati nella prefazione alla prima edizione, è davvero un personaggio bieco, un aguzzino anche se, talvolta, affiora un pizzico di cuore. Latenza umana che non riesce del tutto a sopprimere? Oppure pudicizia per i sentimenti che nella mentalità americana, soprattutto a quell’epoca, suonavano come debolezza rispetto all’ossessione per il denaro e per il successo riconosciuto pubblicamente?

Una tavola da Vita e dollari di Paperone de’ Paperoni. (Panini Comics)

Sia come sia, in realtà si delinea qui la psicopatologia del personaggio. Quella cioè del capitalista. E di tutti noi, alienati dalla società da questi edificata. Tutti i racconti del volume espongono infatti questa alienazione in cui Paperone “nuota” quotidianamente, specularmente alla sua montagna di dollari, alienazione che è al contempo la perdizione del personaggio e il suo motore. E di conseguenza il motore delle stesse molteplici avventure ai quattro angoli del globo.

Vediamoli in sequenza.

In quello d’apertura, Paperino e la scavatrice – che è anche un grande racconto di Natale – il papero ultramiliardario è preso in una rincorsa-competizione tra lui e Paperino per il regalo di Natale ai nipotini la cui esasperazione pare contenere tutta la follia della competizione ossessiva, dell’assoluta assenza di senso delle proporzioni per il fine da raggiungere, di una tendenza all’esagerazione congenita che vediamo all’opera da parte degli Stati Uniti praticamente in ogni frangente. Un paese-elefante in un negozio di cristalli, che si tratti di una città o del pianeta. Qui le scavatrici sostituiscono gli elefanti.

Adesso tutto questo universo di paperi e le tante invenzioni a loro connesse sembrano scontate, ma prima di Barks non lo erano. Barks ha inventato un (suo) mondo all’interno di quello della Disney

Nel secondo racconto, Paperino e la clessidra magica, il terrore di aver erroneamente donato una clessidra ritenuta magica e che questo abbia scatenato gli eventi che lo stanno portando alla rovina, spinge Paperone ad imbarcarsi con Paperino e i nipotini in una lunga avventura nel deserto del Sahara. Ogni tanto ha degli scatti di umanità: ma l’interesse cinico, se non inumano, riaffiora periodicamente, come quando impone a nipote e nipotini, che ritrova svenuti nel deserto dopo una lunga marcia, la restituzione della clessidra in cambio di un’otre d’acqua: “Quando vedo qualcuno alla mia mercé, non c’è motivo che non ne approfitti” è il pensiero che subito gli balena e lo sguardo quasi sadico fa rabbrividire. Paperino, Qui, Quo e Qua, subito restituiscono questa clessidra inutile e tornano felici, estranei a questa alienazione, a questa droga obnubilante, superando indifferenti veri e propri laghi di diamanti e offerte di tonnellate d’oro. Ma quando poi Paperone si trova nella stessa situazione, dopo averlo sfinito e spinto a restituire loro la clessidra, rifiutano quest’ultima e gli offrono da bere. Nella nota introduttiva dell’edizione degli Oscar si rileva giustamente che per Paperone “cominciano a delinearsi in tutta la gamma di sfumature il ‘valore’ e la ‘potenza’ del suo denaro. Eppure in questa storia sarà proprio la potenza del denaro a rivelarsi effimera e Paperino, nonostante tutto, avrà la meglio. Un fenomeno, questo, che si ripeterà sempre meno di frequente con l’andare del tempo e con dispiacere dei lettori”.

Il tema della povertà
Il terzo racconto, Paperino, Zio Paperone e il decino fatale, figura tra i capolavori assoluti di Barks ed è anche uno dei capolavori della storia del fumetto sul tema della povertà, tanto che, in un’ideale antologia, lo si potrebbe affiancare ai migliori graphic novel sul tema. Si apre con la mestizia dei bambini della baraccopoli di Agonia, sobborgo di casupole di legno accuratamente evitato da tutti gli abitanti di Paperopoli nella quale erroneamente finiscono i nipotini: alla vista dei loro volti, di quei bambini avvolti da montagne di neve, perennemente infreddoliti e affamati, dagli occhi senza vita perché nel loro campo visivo è del tutto assente la speranza di un futuro o anche semplicemente per qualcosa di bello, i nipotini ne escono sconvolti, tanto da lasciare preoccupata Paperina che li incontra poco dopo. “Noi abbiamo un Natale a cui pensare…ma i bambini poveri del sobborgo Agonia non hanno nessun Natale a cui pensare e questo dà da pensare” dicono, e non vorranno più nessun regalo spingendo invece Paperina e Paperino – che intanto sta impazzendo sui conti di casa e le bollette per trovare i soldi che gli consentano di regalare ai ragazzini il tanto desiderato trenino elettrico – a riunire i soldi collettivamente affinché i ragazzini di Agonia possano finalmente sapere “cosa sia il Natale”.

La ricerca di questo denaro è una successione magnifica di colpi di scena, climax differenti, gag, dove entrano in scena sia Gastone che Paperone. Quest’ultimo, diviso tra slancio di generosità e avarizia caparbia (sì ai tacchini, no agli inutili trenini elettrici, perché non capisce il bisogno spirituale che ha un bambino per il gioco e per la fantasia) avrà comunque l’ardire di rubare a Paperino idea e panchina del parco per fingersi accattone e tentare di raccattare qualche soldo in più per sé e non, come invece Paperino, per i piccoli di Agonia. E senza contare il deposito, che più straripa e più le sue preoccupazioni aumentano.

La figura di Doretta Doremì, un tempo luminosa cantante del saloon della città e antico amore del cinico magnate, è davvero poetica

Nel quarto racconto, Zio Paperone e la disfida dei dollari, Paperone appare come un capitalista paternalista e bonario: così, ricevendo Paperino al deposito e mettendogli una mano sulla spalla, gli dice: “Ti ho chiamato perché penso che tu abbia bisogno dei miei saggi consigli. Non esiste al mondo cosa più bella che il possedere una fortuna come la mia”. E di conseguenza spiega a Paperino che avendo raggiunto una certa età deve darsi da fare a diventare ricco anche lui. E che il primo requisito è quello di smettere di spendere. Mentre è intento a bloccare freneticamente topi, schiacciare tarme o ragni che fanno ragnatele nei circuiti d’allarme, Paperone reitera il concetto, anzi lo ostenta, aggiungendo che “per avere una vita tranquilla bisogna possedere del denaro! Montagne di denaro! Naturalmente dovrai rinunciare al cinema, alle vacanze e ad altre simili stupidaggini!”.

Ma mentre constata che la banda Bassotti è in procinto di costruire un edificio attaccato al suo deposito con evidenti loschi intenti, Paperone, sfinito, sviene tra i denari. Sarà poi una sarabanda infernale di movimenti e astuzie folli per portare via i soldi in segreto e sfuggire all’inseguimento dei Bassotti, portando come sempre allo sfinimento Paperino e i nipotini. La pedata finale da parte del nipote povero allo zio straricco è dunque una ribellione e al contempo una forma d’indignazione finalizzata a rimarcare orgogliosamente la propria diversità: “Forse non te ne sei mai accorto zio Paperone, ma con tutta la tua ricchezza non sei altro che un pover’uomo. Noi invece siamo felici quando abbiamo i soldi a sufficienza per comprarci un gelato!”.

Il poetico Zio Paperone e la stella del polo, un racconto ormai di culto tra gli appassionati, si apre invece con l’avaro papero che si aggira tra la consueta montagna di soldi, afflitto da emicranie e terribili amnesie. Il medico gli ordina una vacanza e grazie alle pillole che questi gli dà riaffiorano i ricordi di gioventù nel Klondike quando cercava l’oro. Ovviamente prende inizio un’avventura tra il fiume Yukon e la città canadese di Dawson, un tempo folle epicentro della corsa all’oro, con al seguito Paperino e nipotini. Non diremo altro, fatto salvo che la figura di Doretta Doremì, un tempo luminosa cantante del saloon della città e antico amore del cinico magnate, è davvero una figura poetica: Barks la raffigura abbandonata da tutti, sola, poverissima. Paperone è capace di tutto, l’attrattiva per il denaro è una calamita più forte di lui, anche quando si tratta di riscuotere un vecchio ma grande debito da una persona ridotta in povertà. Ma qui, una volta tanto, alla fine affiora la “debolezza” del sentimento. A modo suo, naturalmente. Ma permettendo a Doretta di rinascere.

Il già citato Zio Paperone e la dollarallergia, ha più di altre il sapore della parabola che scivola nella farsa satirico-comica. Sull’orlo dell’esaurimento nervoso, sotto psicofarmaci, non sopporta più il denaro, ha sudori freddi e forti tremolii anche sentendolo soltanto nominare: una vera depressione a cui il viaggio nel mondo perduto lo aiuterà a ritrovarsi. Anche se poi la cupidigia e l’alienazione sono latenti in ogni essere umano, come accade agli abitanti di questo luogo sperduto; ma questa storia preannuncia Zio Paperone e il tesoro delle sette città – ultimo racconto dell’antologia e una delle grandi avventure di fanta-archeologia che hanno reso celebre Barks – dove Paperone pare finalmente felice ma comincia ad annoiarsi, a non provare più esattamente lo stesso piacere mentre fa il consueto bagno nei dollari. Tutto comincia a essere scontato e si accorge di essere una “piovra” come riconosce lui stesso. Controlla troppa roba. Volendo recuperare la sorpresa inattesa e soprattutto la semplicità, si unisce a Paperino e ragazzi che si stanno recando nel deserto a raccogliere frecce di punte indiane per conto di un collezionista che le paga 50 centesimi l’una. Presto pedinati dai Bassotti, ne segue una fantasmagorica avventura all’inseguimento delle Sette città di Cibola (o Sette città d’oro), chimera prima dei conquistadores spagnoli e poi di innumerevoli avventurieri. Una delle questioni è il rispetto delle antiche civiltà.

Dall’Italia al mondo
Nel teatro barksiano fatto di maschere antropomorfe assistiamo all’evoluzione progressiva di zio Paperone, alla comparsa dell’ufficio, del deposito straripante di soldi dove nuota con giubilo fanciullesco, dei dipendenti, del maggiordomo, della surreale banda Bassotti, di Amalia “la fattucchiera che ammalia”, del mangiacappelli John Davison Rockerduck esplicitamente ispirato alla figura di John Davison Rockefeller jr, di Gastone, di Archimede Pitagorico e della sostanziale reinvenzione di Paperino e dei tre nipotini che vengono per la prima volta immessi in storie lunghe all’interno di un loro microcosmo (Paperopoli e non più Topolinia). E assistiamo all’affermarsi di storie avventurose e di fanta-archeologia alla ricerca di tesori che tanto ispireranno gli autori Disney europei, soprattutto quelli della scuola italiana, la migliore e la più ampia. Ma anche il cinema: i film del ciclo di Indiana Jones gli sono largamente debitori e non per caso George Lucas e Steven Spielberg nei primi anni ottanta firmarono la prefazione alle prime riedizioni complete dell’opera di Barks. Adesso tutto questo universo di paperi e le tante invenzioni a loro connesse sembrano scontate, ma prima di Barks non lo erano. Barks ha inventato un (suo) mondo all’interno del mondo Disney.

Furono gli italiani a farlo scoprire al mondo, in particolare Mario Gentilini, il mitico direttore e inventore del Topolino tascabile che si accorse che alcune storie erano nettamente superiori alle altre anche sul piano del segno grafico, ben riconoscibile: erano le storie di Carl Barks. Partirono allora in viaggio negli Stati Uniti per scoprire chi fosse per poi rivelarne il nome e valorizzarlo come accadde in quel mitico Oscar Mondadori del 1968 dedicato a Paperone dove Gentilini firmò una lunga introduzione che seguiva alla prefazione di Buzzati.

Carl Barks è stato un big bang, uno dei tanti della storia del fumetto certo, ma uno di quelli davvero importanti

È dunque davvero bella l’idea di Panini Comics di ripresentare in eleganti volumi cartonati moderni, ritradotte e a colori, queste antologie degli Oscar, come I pensieri di Pippo. Ovvero la filosofia di un sognatore, dove il personaggio stralunato è riletto, grazie ad un corposo apparato storico-critico, invece che come un allocco o un sempliciotto nel rapportarsi alla realtà, piuttosto come “un precursore di quel modo di approcciarla chiamato ‘pensiero laterale’”. E come, più di recente, Le follie di Eta Beta. L’uomo del futuro, il surreale personaggio mangiatore di naftalina e dalle tasche con spazi infiniti nato, come Paperone, direttamente nei fumetti senza cioè apprendistato nei cortometraggi di animazione. Molti lettori credevano fosse un essere preistorico o un alieno, mentre invece è un terrestre del futuro del tutto incapace, come Pippo, di adattarsi alle convenzioni sociali del nostro presente.

Ma Carl Barks è autore delle sceneggiature, delle matite e delle chine delle storie qui raccolte, uscite negli Stati Uniti su albi a fumetti a colori, mentre se le storie delle antologie su Pippo e Eta Beta, uscite in bianco e nero sotto forma di strip quotidiane sui quotidiani americani, sono firmate dal grande Floyd Gottfredson per le matite e le chine, le sceneggiature erano spesso scritte insieme agli ottimi Bill Walsh e Merrill De Maris. Forse sarebbe importante che in futuro, in collaborazione con Mondadori, si aggiungano anche delle riedizioni in facsimile di questi Oscar al fine di rileggere i vecchi testi e di riscoprire la grande qualità del segno grafico di questi autori, di Gottfredson e soprattutto di Barks: l’eleganza del segno, del senso dello spazio, l’espressività perfetta delle maschere-volto dei paperi, la sua capacità d’integrare al contempo un disegno realistico suscitatore di alta empatia e infine l’impareggiabile talento nel creare scene spettacolari di grande precisione paesaggistica nelle storie avventurose diventano del tutto evidenti nello splendore della nudità del segno grafico, un nitore dove si equivalgono la purezza dell’arte e quella del mondo dell’infanzia. Carl Barks è stato un big bang, uno dei tanti della storia del fumetto certo, ma uno di quelli davvero importanti.

E infine l’Oscar dedicato a Zio Paperone che riprende anche la storia sul decino fatale – Donald Duck in A Christmas for Shacktown – che il lettore ritrova in apertura del recente Paperino e il decino fatale, undicesimo volume dell’integrale dedicata al Paperino di Carl Barks. È l’edizione italiana della prestigiosa collana curata dalla Fantagraphics di Seattle, mitica casa editrice che unisce fumetto d’autore, d’avanguardia e classici del fumetto in edizioni accuratissime, dalla qualità di stampa davvero superlativa e dalle dense appendici storico-critiche tra cui anche delle schede per ogni racconto firmate da storici sia statunitensi che italiani. Stesso discorso per l’integrale del Topolino di Gottfredson, giunta al quarto volume (Topolino e la cassetta elettronica, strip 1942-1944) dove prossimamente si potranno ritrovare le storie raccolte nelle antologie di Pippo ed Eta Beta.

A questi si possono aggiungere altri due titoli splendidi: Magico Natale, che raccoglie alcune delle più belle storie Disney incentrate sul Natale (con incluso una copertina-poster), e soprattutto la riedizione di una storia amatissima dei Disney italiani: Topolino e la spada di ghiaccio, scritta e disegnata da Massimo De Vita, da sempre una delle grandi firme del Topolino italiano. Questa storia del 1982 che miscela in maniera unica umorismo, avventura, fantasy, fantascienza, parodia e che “trabocca di ironia e spirito dissacrante nei confronti dei luoghi comuni del genere”, è qui riproposta in un’elegante edizione su tela, stampata perfettamente su carta patinata e completamente ricolorata, come in una sorta di colorazione ad acquarello. Se l’edizione regolare procura questa gioia, lasciamo al lettore immaginare l’effetto che ne risulta dall’edizione deluxe in grande formato.

In anni recenti è però arrivato un altro autore statunitense, profondamente ispirato da Carl Barks: Don Rosa, di origini italiane. Panini comics, che sta già curando l’integrale delle sue storie – la Don Rosa Library – manda anche in libreria La saga di Paperon de’ Paperoni, un monumentale e molto avvincente graphic novel di 212 tavole dove si racconta per intero la giovinezza di Paperone e dove ritroviamo Doretta Doremì. Un viaggio personale sulle tracce di Carl Barks dalla notevole inventiva e disponibile in versione regolare (brossurata in formato classico) e deluxe (cartonato in grande formato).

Una tavola da La saga di Paperon de’ Paperoni. (Panini Comics)

Infine, se Paperone è un pianeta allora per festeggiare i suoi 75 anni non poteva mancare Pianeta Paperone, un bel volume cartonato che comprende quattro storie di Paperone apparse su Topolino tra il 2020 e il 2021. La prima è disegnata da una delle firme disneyane italiane storiche, Marco Rota, autore di innumerevoli copertine rimaste nella memoria; le altre sono disegnate da Marco Rota insieme al figlio Stefano e tutte e quattro sono scritte da uno sceneggiatore appassionatissimo della nuova generazione, Vito Stabile. Sono tutti cultori del personaggio di Paperone. E sono davvero dei bei racconti, meno appariscenti di tanti altri e ci stanno quindi non meno simpatici per il fatto di celare un po’ la loro bellezza.

Il primo è incentrato su Paperone che per trovare la sua ispirazione creativa per gli affari ha bisogno della consueta passeggiata al parco, della panchina e del giornale da leggere a sbafo sulla medesima panchina. Riposo sulla panchina che per lui è “quasi un’esperienza maieutica”, scrive la curatrice Francesca Agrati. Ma questa gli viene presto sottratta dall’altro monopolista di Paperopoli, Rockerduck.

Per come sono condotti, questi racconti si rivelano degli elogi alla semplicità e all’autenticità della vita così come alla semplicità (apparente) e alla genuinità dell’artigianato che può fiorire all’arte; ma sono anche, in estensione, degli elogi alla contemplazione, alla lentezza, alle relazioni umane. Quasi a una moderata decrescita. Paperone pare qui un po’ Paperino e in fondo non è poi così strano: è da sempre straricco ma – eccettuato qualche status symbol come la sua limousine che proprio Rota ha istituzionalizzato (e messo al centro del secondo racconto) – vive in maniera frugale come Paperino per via della sua avarizia cronica. L’impostazione minimalista delle storie evidenzia il piacere per le piccole cose: anche per questo si svolgono sostanzialmente tutte in ambiente cittadino con piccoli spostamenti – come del resto evidenziano gli autori nelle interviste in appendice – e Paperone rivendica a sua volta questo piacere intimo per la metropoli. Forse non a caso Stabile, riferendosi a Rota e a Barks quale musa ispiratrice del primo, nell’intervista afferma che il suo motore è “un modo genuino di fare fumetto” e che si sente “molto più simile a Paperino: a me bastano un gelato e una giornata di sole per essere felice”.

Quanto a Rota, rievoca nell’intervista uno dei suoi fumetti più belli, Zio Paperone e il deposito oceanico (1974), un racconto onirico e visionario, dove un viaggio nel deposito si rivela infinito in mezzo a paesaggi fascinosi e inquietanti degni dei migliori racconti di Barks: in altre parole, rovescia i possenti scenari delle storie avventurose di Barks nell’esplorazione casalinga del deposito, nell’avventura nascosta in casa. In fondo, è un po’ lo stesso spirito con cui Hugo Pratt rovescia il concetto di avventura, legata all’esplorazione e quindi allo spostamento continuo, in Una ballata del mare salato: racconto quasi del tutto chiuso in un’isola, lunghissimo, dalla poca azione (anche se le poche sequenze d’azione sono perfette) e con invece tanta contemplazione ed evocazione dell’avventura e della bellezza del mondo. Ma il lettore di questo gioco sulla lentezza e la staticità non se ne accorge e anzi ne gode.

Tornando al vecchio papero festeggiato, una volta tanto non c’è soltanto il piacere irrefrenabile di “tuffarmi nel denaro come un pesce baleno, scavarci delle gallerie come un talpa e gettarmelo in testa come una doccia”. Si è infatti molto evoluto da quel “odio tutti e tutti odiano me” del dicembre del 1947. Forse la radiografia compiuta negli anni dal tardo dickensiano Carl Barks su di lui ha giovato. Le radiografie spietate servono sempre. Diciamolo allora: Carl Barks è anche un po’ Karl Marx.

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