14 marzo 2015 14:26

Un maestro del colpo di scena. Nel giorno in cui si celebravano i due anni di pontificato, Bergoglio prima è riuscito a evocare in un’intervista il tema delle sue dimissioni per poi annunciare a sorpresa un anno santo straordinario dedicato alla misericordia: quanto di più classico può proporre il menù ecclesiale in materia di tradizione pontificia.

Solo che l’anno santo di Francesco non sarà uguale a quello di altri papi: niente mantelli dorati come Giovanni Paolo II che varcò nella notte di Natale del 1999 la porta santa della basilica di San Pietro, già malato, piegato su se stesso, abbagliato dalle luci delle dirette televisive. Il punto più alto della chiesa trionfante.

Bergoglio non cederà ai lustri papali, lo stile è un altro e misericordia è, appunto, parola chiave del pontificato che significa nel magistero di Francesco perdono, accoglienza, attenzione ai poveri. È la “chiesa ospedale da campo” dove entrano tutti, compresi i peccatori, e si curano le ferite. Il contrario di quella “chiesa dogana” in cui bisogna avere i documenti in regola prima di entrare.

E per far passare il suo messaggio Francesco non esita a usare lo strumento della tradizione, segno che il modello di chiesa proposto è allo stesso tempo in continuità e in rottura con il passato, Ecclesia semper reformanda secondo la nota formula (poi ogni papa decide fino a che punto).

Roma ringrazia per i turisti

Un giubileo che segnerà comunque un clamoroso afflusso di pellegrini a Roma tanto più se è lui, il papa stesso, ad attrarre le folle; così, mentre già su qualche giornale si fanno i conti dell’affare giubileo, la capitale ringrazia il cielo di avere Bergoglio che è come una calamita per turisti e fedeli e fa ogni giorno il miracolo di riempire alberghi e ristoranti. La chiesa, dal canto suo, si appresta a seguire il pontefice argentino senza poter fiatare più di tanto, travolta dalla serie di iniziative sorprendenti.

A guardarlo da vicino, dunque, questo non sembra un papa che pensa alle dimissioni, anzi si direbbe che a Bergoglio piaccia fare il vescovo di Roma, solo non vuole spaventare troppo i suoi avversari; tranquilli, fa capire, me ne vado presto, poi però aggiunge: forse.

Francesco, dopo due anni di pontificato, ha capito che a Roma bisogna usare anche anche l’arte della dissimulazione, che le cannonate contro il quartier generale della curia vanno accompagnate da qualche rallentamento, da qualche aggiramento dell’ostacolo. E poi quella nostalgia di cui parla – andare in pizzeria senza essere riconosciuto – forse è vera, ma è lui il primo a sapere che, pure tornasse a fare semplicemente il porteño con qualche amico in una taverna della Boca, nulla sarà più come prima.

Il giubileo straordinario prende il via l’8 dicembre, a cinquant’anni dalla fine del concilio Vaticano II, la stella polare del magistero di Bergoglio, ma poco è stato sottolineato che comincia anche a ridosso della fine del secondo sinodo sulla famiglia (ottobre 2015), quello che dovrebbe prendere decisioni importanti.

E allora l’indicazione del papa diventa più chiara: il sinodo potrà pure concludersi con formulazioni ellittiche, contenenti una cosa e il suo contrario, su divorziati, omosessuali, coppie di fatto, single, famiglie in crisi e via dicendo. Ma la strada è quella dell’apertura al mondo che non cambia la dottrina ma ascolta, nell’accezione classica conciliare, i segni dei tempi.

Così, allo stesso modo, se la riforma della costituzione apostolica Pastor bonus, il testo che organizza la curia vaticana, stenta a decollare per resistenze, burocrazie che non mollano la presa, poltrone tirate da una parte e dall’altra, Bergoglio il peronista per far saltare il tappo ricorre al popolo, al giubileo, all’ondata umana che tutto travolge.

Il papa si dimetterà?

Scommessa insidiosa, non per forza vincente, eppure al papa piace la politica, piace il rischio, e soprattutto pensa che qui si giochi la partita decisiva per la sopravvivenza della chiesa. Per questo nella stessa intervista all’emittente messicana Televisa in cui parla di dimissioni, definisce la curia “l’ultima corte d’Europa”, e il riferimento è alle corti di un tempo, quelle che decidevano le sorti dei popoli dove i sovrani avevano un potere assoluto.

Insomma non parla dell’odierna Buckingham palace e dei vestiti color salmone di Elisabetta II, e sempre per lo stesso motivo nomina i cardinali anche alle isole Tonga e a Panama – lasciando attoniti i tradizionalisti – e pensa a un sinodo che, con il tempo, diventi organo decisionale e non più consultivo.

Resta però l’interrogativo: presto o tardi il papa si dimetterà? C’è già un papa emerito, Ratzinger, e a partire da questo la risposta di Bergoglio sul tema diventa interessante: “Non bisogna considerare Benedetto come un’eccezione, ma come un’istituzione. Sia che resti l’unico per molto tempo, sia che non rimanga l’unico. È una porta istituzionale aperta. Oggi il papa emerito non è qualcosa di raro, si è aperta la porta perché questo possa esistere”.

La porta è aperta, Bergoglio deciderà quando. Intanto il giubileo si conclude il 20 novembre 2016. Nello stesso anno Francesco compirà il suo atteso viaggio in Argentina.

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