10 aprile 2019 10:12

La crisi siriana è cominciata nel marzo del 2011. Per poco più di un anno il paese fu attraversato da grandi proteste di piazza contro il regime di Bashar al Assad, in linea con quanto stava succedendo in altri paesi attraversati dalle primavere arabe: la crisi economica e l’assenza di libertà avevano fatto esplodere il malcontento. La durezza inaudita della repressione da parte degli apparati di sicurezza, la radicalizzazione dell’opposizione, la comparsa sulla scena di gruppi fondamentalisti islamisti sempre più organizzati e aggressivi, trasformarono però progressivamente il teatro siriano in uno degli scenari di guerra più sanguinosi e drammatici dell’epoca recente.

Il sogno di una Siria democratica si sgretolò rapidamente mentre prevalevano gli interessi di potenze regionali e di superpotenze globali che usavano il paese per combattere una gigantesca guerra per procura. Mentre eserciti regolari, milizie di ogni sorta e gruppi jihadisti giocavano una spregiudicata partita militare e geopolitica, un popolo sprofondava nell’orrore.

Uno dei protagonisti di questa storia drammatica è stato un gesuita italiano, padre Paolo Dall’Oglio, che per trent’anni ha vissuto in Siria; lì, in mezzo al deserto, nel monastero di Mar Musa, ha fondato una comunità religiosa aperta all’incontro con altre fedi e diventata col tempo centro di pace, di dialogo, di ricerca spirituale e teologica, di ragionamento politico. Un’esperienza agli antipodi dei fondamentalismi cristiani e islamici, della religione-ideologia diffusa ad arte per fini politici in occidente come nel mondo arabo.

Paolo Dall’Oglio ha avversato il fondamentalismo in ogni sua forma e si è battuto per una democrazia colorata dalla tradizione islamica

Dall’Oglio si è opposto con fermezza a un regime di natura quasi dinastica, quello degli Assad (in cui il potere è passato da Hafez al figlio Bashar), ed è diventato nel breve volgere di una stagione “speaker della rivoluzione”, come si definiva lui stesso, almeno fino a quando quest’ultima ha mantenuto il carattere di rivolta popolare contro un regime oppressivo. In quanto uomo di fede e in qualità di “siriano”, ha avversato il fondamentalismo in ogni sua forma e si è battuto per una democrazia colorata dalla tradizione islamica, che voleva dire non imposta dall’esterno, non modellata dall’occidente, ma figlia della storia dei popoli della regione.

Espulso dal governo di Damasco nel 2012, il 29 luglio 2013 era rientrato a Raqqa per negoziare la liberazione di alcuni ostaggi ed è stato rapito dagli uomini del califfato che già operavano nella zona; da allora non si è saputo mai più nulla di lui. Le voci sulla sua sorte si sono susseguite senza mai trovare conferma; le ricostruzioni più attendibili fanno pensare che sia stato ucciso quasi subito, immediatamente dopo il suo rapimento. Poi, all’inizio di marzo di quest’anno, dall’ultima enclave sotto il controllo dello Stato islamico, nei presi di Baghuz (sudest del paese) è giunta la notizia che Dall’Oglio fosse ancora vivo; più di un testimone affermava di averlo visto. Un negoziato fra le forze curde e gli uomini dell’ex califfato per la liberazione di alcuni ostaggi importanti sembra sia stato avviato, senza però andare a buon fine. Le notizie che provengono da qualsiasi fronte di guerra vanno valutate sempre con molta prudenza e questa non fa eccezione, tuttavia tra quanti seguono da vicino il conflitto si dava credito alla possibilità che la notizia fosse fondata. In ogni caso Dall’Oglio resta a tutt’oggi un desaparecido della guerra in Siria, e forse il suo corpo si trova in una delle tante fosse comuni di Raqqa come migliaia e migliaia di altri siriani rapiti e scomparsi in gran numero nelle prigioni di Assad o per mano dell’Is.

“Paolo ha sempre fatto scelte di principio e radicali. Non è stato un diplomatico o un uomo di stato, ha seguito sempre la linea del principio etico e morale nella sua radicalità. Così quando ha visto che il popolo siriano voleva la libertà e la democrazia capiva benissimo cosa stava succedendo, perché aveva visto la sofferenza sotto la dittatura”. Adnane Mokrani, teologo musulmano, ricorda così, per Internazionale, Paolo Dall’Oglio di cui era amico. Lo studioso insegna alla Pontificia università Gregoriana e al Pisai (Pontificio istituto di studi arabi islamici), è impegnato nel dialogo interreligioso e conosce molto bene la situazione siriana. “La posizione di Paolo era molto diversa da quella per esempio di una istituzione che cerca di difendere determinati interessi”, rileva. “Era totalmente libero da questo tipo di preoccupazioni, per questo vedo in lui la radicalità dell’etica e della missione cristiana”.

Dall’Oglio, nei mesi precedenti il rapimento, era guardato con sospetto anche all’interno della stessa Compagnia di Gesù

Ma non sempre sono state comprese le sue posizioni. Padre Dall’Oglio, nei mesi precedenti il rapimento, era guardato con sospetto anche all’interno della stessa Compagnia di Gesù – “ha sempre fatto di testa sua”, mi diceva qualcuno – e in molti Oltretevere non erano contenti di quella radicalità che lo portò a sostenere, sempre più isolato, le ragioni della rivoluzione quando era ormai cominciata l’escalation militare.

Il tempo però ha restituito intatte le ragioni del gesuita di Mar Musa, che in buona misura sono state assunte e fatte proprie dai suoi confratelli e soprattutto dalla diplomazia vaticana. Tra i motivi di fondo del suo dissenso con le gerarchie ecclesiastiche locali – antichi patriarcati, religiose e religiosi di varie congregazioni – e con il dicastero vaticano responsabile dei cristiani d’Oriente, c’era il rifiuto, e anzi la condanna urlata a gran voce, del baratto inconfessabile tra la protezione offerta dal regime di Assad alla minoranza cristiana e il sostegno pubblico alle ragioni dei militari. Il che in sintesi voleva dire: mettere in salvo i cristiani e tacere di fronte ai massacri di tutti gli altri. In tal senso l’irruzione sulla scena del fondamentalismo islamico ha segnato una svolta nel conflitto, spostando l’attenzione dell’opinione pubblica dai crimini commessi dai servizi segreti e dalle forze speciali del regime alle persecuzioni delle minoranze non islamiche, tra cui quella cristiana.

Nel corso degli ultimi anni la Santa Sede, con la segreteria di stato vaticana che faceva da apripista, ha rovesciato questo sistema di alleanze: i cristiani – è stato detto più volte e in maniera ufficiale – non possono sopravvivere in Medio Oriente grazie alla protezione dei potenti di turno, ma nell’affermazione di un principio di cittadinanza che riconosca i diritti umani compresa la libertà religiosa, il ruolo sociale dei singoli e delle comunità e che si fondi sulla collaborazione e l’uguaglianza tra tutti i membri di una società. Principio chiave posto al centro anche del recente documento firmato solennemente ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, da papa Francesco e Ahmed al Tayyeb, grande imam di Al Azhar, il più importante centro di studi teologici dell’islam sunnita.

“I cristiani hanno maturato insieme a una gran parte dell’opinione pubblica mondiale una sorta di islamofobia, un timore dell’islam”, mi aveva detto Paolo Dall’Oglio nel luglio del 2012, di passaggio a Roma . “Certo, l’islam è una delle grandi correnti politiche del mondo moderno e quindi può far sorgere dei gravi timori”, spiegava. “Il problema è che il timore nei confronti dell’islam crea le condizioni per l’estremizzazione dei musulmani”. “In Siria – proseguiva - è la mancanza di una soluzione pacifica che radicalizza e islamizza sempre di più il conflitto. Così, tra i cristiani, quelli che possono emigrano, quelli che si trovano in certe condizioni sul terreno si armano, altri restano a casa pieni di timori. Alcuni invece, con coraggio, salgono sul carro sulla trasformazione democratica del paese e cercano di parteciparvi con le loro idee, le loro esigenze, e ricordano al mondo musulmano che il pluralismo religioso del mondo islamico è costituzionale alla stessa idea musulmana di società ispirata dalle fonti religiose islamiche, compreso il Corano e la vita del Profeta”. “Una soluzione alla crisi deve essere sicuramente diplomatica e internazionale”, continuava, “ma la comunità internazionale anche sul terreno deve chiedersi cosa fare per evitare che dalle centinaia di morti civili per massacri si passi a migliaia e poi a centinaia di migliaia”. La previsione si è rivelata drammaticamente giusta.

Pieni cittadini
Secondo Mokrani l’idea forte di cittadinanza deve però andare avanti in parallelo sia in Europa sia sulla sponda meridionale del Mediterraneo: “Nel mondo arabo troviamo una grande sete di libertà e democrazia, di cittadinanza piena; c’è un’aspirazione, un’attesa, un progetto ancora in fieri, non realizzato. Si può parlare di una profezia, di una visione, di un progetto politico”. “Allo stesso tempo – osserva lo studioso – vediamo che sulla sponda nord del Mediterraneo, a livello europeo, c’è una grande crisi politica. C’è la crescita dell’estrema destra, il problema del populismo in tanti paesi. E questo influisce negativamente sull’idea di cittadinanza”.

In quanto alla guerra, alle notizie “dal fronte” che descrivono la possibile fine della fase più acuta di un conflitto capace di produrre oltre mezzo milione di vittime, tra i 10 e i 13 milioni di profughi, distruzioni e dolori incalcolabili, Mokrani osserva: “Vedo che il popolo è molto stanco, ha vissuto un dramma pesante – rifugiati, massacri, città distrutte – e in questa situazione posso capire la ricerca di un male minore, di una stabilità minima, di una tregua, di un respiro; ma questo non fa altro che rimandare la soluzione del problema. E qui il problema è la possibilità di costruire la democrazia in Siria, è la giusta distribuzione della ricchezza e del potere, questa resta la sfida non solo per la Siria ma per tanti paesi della regione. Serve un cambiamento che garantisca la piena cittadinanza, l’uguaglianza tra i cittadini”. “Il regime – aggiunge – ha utilizzato la carta della guerra civile tra violenti, ha liberato anche alcuni leader fondamentalisti per agevolare tale processo; pure lo Stato islamico, del resto, ha favorito grandemente il regime perché di fatto ha confermato la sua legittimità quale difensore dell’unità del paese”.

Nel frattempo la lezione di padre Paolo Dall’Oglio – in attesa di una notizia definitiva sulla sua sorte – continua a vivere; certo i legami sotterranei, a volte opachi, fra regimi e settori delle chiese cristiane, compresa quella cattolica, non sono scomparsi d’incanto, e tuttavia l’idea di una società plurale e democratica nella quale le comunità cristiane possano dare liberamente il loro contributo alla costruzione del bene comune, la promozione della collaborazione tra fedi e culture diverse da una parte all’altra del Mediterraneo, è ormai al centro del dialogo interreligioso quale punto fermo imprescindibile.

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