29 maggio 2021 10:21

Il 21 maggio a Tel Aviv hanno riaperto la piscina comunale. L’amministrazione comunale era preoccupata che i nuotatori potessero scivolare sul pavimento bagnato correndo verso i rifugi, perciò l’hanno chiusa durante il recente conflitto tra Israele e Hamas. Gli abitanti di Gaza possono sbellicarsi dalle risate oppure morire d’invidia, perché dalle loro parti non ci sono né piscine né rifugi. Il 23 maggio, domenica, gli operai palestinesi che stanno facendo i nuovi spogliatoi della piscina di Tel Aviv sono tornati al lavoro.

La piscina è stata costruita sulle rovine di una vasca d’irrigazione usata dal vecchio villaggio palestinese di Sheikh Munis, ormai da tempo scomparso. I muratori hanno ripreso ad alzarsi alle tre del mattino nelle loro case della Cisgiordania occupata per poter raggiungere i checkpoint entro le cinque e il posto di lavoro entro le sei, per costruire così agli ebrei degli spogliatoi come non se ne trovano nei loro villaggi.

Alle sei del mattino di sabato 22 maggio il parco Hayarkon era pieno di persone che facevano jogging e andavano in bici, felici di essere lì. Le conversazioni a tema militare (“Dove hanno preso i missili Kornet?”) sono state gradualmente sostituite dalle normali chiacchiere su velocità, distanze percorse e conteggio dei battiti. Ai campi da tennis dall’altra parte della strada gli ultimi festaioli etiopi uscivano dallo sport club “bianco” che il sabato notte si trasforma in discoteca “nera”. E da Gaza continuavano ad arrivare le foto e i video: persone traumatizzate accanto alle macerie, tendoni dove piangere i morti, l’edificio bombardato che ospitava il ministero della sanità, e poi l’immagine struggente di un padre a piedi per strada con in braccio il figlio neonato, che raccoglie fiori bianchi da un cespuglio e li porge al bimbo.

Noi israeliani provocheremo e tormenteremo, umilieremo e opprimeremo, convinti di poter continuare a farlo senza ostacoli

K. T., la studente di medicina all’università di Al Azhar a Gaza che ha realizzato quelle immagini, il 21 maggio ha esitato prima di uscire da casa per la prima volta dopo undici giorni. “Sono stata molto titubante, ma poi ho pensato che era un momento decisivo per la storia della Palestina, e che volevo vederlo con i miei occhi. Voglio ricordare questi crimini e alimentare la mia rabbia”, ha scritto.

I posti di blocco sul confine di Gaza e a Jaffa sono stati rimossi il 21 maggio, i rifugi a Tel Aviv sono stati chiusi il 23, e Galina, il cane scomparso mentre suonava la prima sirena, che i padroni si sono messi a cercare appendendo un’infinità di poster nel parco, a quanto pare non è ancora rientrato a casa: ti aspettiamo Galina, è tempo di tornare alla normalità.

Questa routine causerà la prossima guerra. Tutto quello che è stato e tutto quello che sarà fornirà il combustibile per la prossima ondata di ostilità. Il blocco di Gaza continuerà, lo stivale israeliano continuerà a schiacciare il collo della Cisgiordania, e nelle città miste arabo-ebraiche continueranno le provocazioni contro ciò che resta della comunità palestinese precedente al 1948, mentre il mondo continuerà a sostenere Israele. Anche l’arroganza rimarrà la stessa: noi israeliani provocheremo e tormenteremo, umilieremo e opprimeremo, restando convinti di poter continuare a farlo senza ostacoli.

È difficile ammettere quanto Israele sia disposto a investire nella guerra, senza investire niente per tentare di evitarla. Come non si preoccupi affatto dei rischi di un’eventuale guerra, ma tremi di paura di fronte a qualunque tentativo per impedirla. In Israele parlare con Hamas è considerata un’opzione molto più pericolosa che bombardarlo.

C’è almeno un israeliano con un piano per la Striscia di Gaza? C’è un israeliano che sa cosa vuole Israele da Gaza, oltre che la tranquillità per il proprio popolo? Dovrebbero forse lanciarci del riso in onore dell’asfissia che gli stiamo imponendo? Gli abitanti della Striscia dovrebbero accoglierci con entusiasmo per la devastazione che abbiamo seminato? Dovrebbero perdonarci tutto quello che abbiamo fatto dal 1948 a oggi? Israele ha mai usato nei confronti di Gaza un metodo diverso da quello unilaterale?

Poche ore dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco Israele ha riposto una cieca fiducia in Hamas, aprendo strade e scuole e chiudendo i rifugi. In altre parole, nella Striscia c’è un partner di cui ci si può fidare, che mantiene le sue promesse. Forse dovremmo provare a parlare con lui prima della prossima guerra, e non soltanto dopo. Ad Hamas non mancano il coraggio o la disponibilità al sacrificio, molto più di quanto, detto per inciso, ne abbiamo noi. Forse questo coraggio stavolta si tradurrà in coraggio politico. Ci sono persone razionali anche a Gaza.

Ma queste sono parole vuote. Galina potrà anche tornare a casa, ma Israele non imparerà nulla. Il generale in pensione Israel Ziv tornerà negli studi televisivi a spiegare come dobbiamo colpire e distruggere, accolto dagli applausi degli spettatori. Bentornati alla nostra routine.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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