25 novembre 2015 16:53

Evgenia Arbugaeva (1985) è cresciuta a Tiksi, una cittadina a nord della Russia siberiana, ascoltando storie sugli esploratori e gli scienziati, persone coraggiose che dedicano la loro vita allo studio delle zone più remote dell’Artico: “Per me erano come dei maghi, perché possedevano una conoscenza a cui non sapevo come avvicinarmi”.

Dopo avere studiato presso l’International center of photography di New York, comincia a interessarsi veramente delle stazioni meteorologiche del polo nord grazie a una spedizione in slitta con suo padre, allevatore di husky, il fratello e un paio di amici. In questo viaggio Arbugaeva rimane particolarmente colpita dalle persone che incontra e vivono nel mezzo del nulla e decide di esplorare questo strano universo con la macchina fotografica.

Presto però l’idea romantica che coltivava fin da bambina si scontra con la modernità della attuali stazioni: fredde, abitate da giovani chini su computer portatili e che lavorano in questi posti solo per brevi periodi. Dopo la spedizione in slitta, nel 2013 ne visita altre a bordo di una nave rompighiaccio finché qualcosa di speciale la fa fermare a Chodovaricha.

Weather man, 2014. (Evgenia Arbugaeva, Courtesy of The Photographers’ gallery)

Qui vive Vjačeslav Korotkij, un meteorologo che in completa solitudine monitora le temperature, le nevicate e i venti. “Sapevo che da qualche parte esisteva qualcuno come lui”. Slava (diminutivo di Vjačeslav) non parla molto, ma tra i due si instaura una specie di connessione, in un’atmosfera surreale che intriga subito la ragazza che, prima di scegliere la fotografia, voleva fare la pittrice.

Grazie a varie borse di studio, Arbugaeva riesce a tornare più volte da Slava e sceglie di farlo in inverno perché in questa stagione nell’Artico è sempre buio, la condizione perfetta per creare l’atmosfera che ha in mente. Nasce così Weather man, il racconto di un’esistenza solitaria in un ambiente ostile e lontano dalla civilizzazione. Lo stile della fotografa, definito da lei stessa come qualcosa di simile al realismo magico, unisce il documentario con la messa in scena, per creare composizioni profondamente legate ai miti e alle fiabe e che rievocano sempre un’età dell’innocenza ormai perduta.

Weather man, 2014. (Evgenia Arbugaeva, Courtesy of The Photographers’ gallery)

Perduta è infatti anche l’esperienza di Chodovaricha: la stazione, nata negli anni trenta, è stata chiusa, Slava è andato in pensione ed è tornato dalla moglie ad Archangelsk, città sulle rive della Dvina Settentrionale, in Russia. “Ho parlato con lui di come sarebbe stato tornare a vivere in un luogo abitato. Non gli piacciono il traffico, le persone sgarbate e che vanno di corsa, ha paura delle automobili e odia dover camminare solo dove si ‘può’. È abituato a camminare dove vuole”, racconta Arbugaeva e aggiunge “probabilmente si stabilirà nella vecchia casa dei genitori, vicino a un fiume dove stare in pace con la natura, nel modo in cui desidera”.

Weather man fa parte della mostra Arctic stories, in cui viene presentato anche un altro lavoro della fotografa, Tiksi (2012), dedicato alla sua città natale, e che è in corso alla Photographers’ gallery di Londra fino al 16 gennaio 2016.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it