02 maggio 2020 13:31

Fela Kuti, Opposite people
Tutti i musicisti che hanno suonato con Fela Kuti ricordano quanto il padre dell’afrobeat fosse severissimo, per non dire autoritario. Ai musicisti degli Africa ’70, la sua prima band, l’artista nigeriano chiedeva di suonare esattamente quello che voleva lui, non una nota di più, non una nota di meno. Prima gli suonava con la tastiera o gli cantava la parte e voleva che loro la ripetessero tale e quale. C’era solo una persona con cui non lo faceva: il batterista Tony Allen. Lui aveva libertà di esprimersi liberamente. Non a caso era il direttore musicale del gruppo. Fela Kuti sosteneva che nessuno in Nigeria era in grado di suonare la batteria come Allen.

Tony Allen, nato a Lagos nel 1940 e morto all’improvviso a Parigi il 30 aprile a 79 anni, è stato un gigante della musica. E non è la solita frase retorica da necrologio, lo è stato davvero. Imparò a suonare cercando d’imitare lo stile bebop di Art Blakey e Max Roach. Ma dentro il suono della sua batteria c’era tutto, dallo highlife del Ghana a tanti altri altri generi africani fino al soul (era un fan di James Brown, come tutti i musicisti del resto) e al jazz. In questi giorni, per commemorare la sua morte, tanti citano una frase di Brian Eno, che lo definì “il più grande batterista mai esistito”. Senza di lui l’afrobeat non sarebbe stata la stessa cosa.

Vista la triste notizia, ho pensato di aprire le canzoni del weekend con un suo brano. E non sapevo quale scegliere, perché nella sua carriera Allen ha fatto davvero di tutto. Qualcosa di Fela Kuti? Doveroso, ma banale. Qualcosa di più recente, come lo splendido album jazz The source, uscito nel 2017 per l’etichetta Blue Note? Qualcosa uscito fuori dai suoi progetti con Damon Albarn, l’uomo che me l’ha fatto scoprire nel 2007, quando Allen partecipò al primo disco dei The Good, The Bad & The Queen?

Alla fine mi sono fatto guidare dall’istinto. E quella parte di batteria che apre Opposite people, capolavoro del 1977 di Fela Kuti, resta una delle epifanie musicali più forti che mi siano capitate nella vita. Il modo in cui, insieme alle chitarre e alla tastiera, le mani e i piedi tarantolati di Allen preparano il terreno all’entrata trionfale dei fiati è una cosa che a distanza di anni mi lascia sempre senza fiato. È un suono unico, irripetibile. E quindi concediamoci uno strappo alla regola, almeno per questa settimana, e facciamo un salto indietro nel tempo. Quando un musicista del genere muore, oltre che a essere triste per lui, il mio istinto è sempre quello di ringraziarlo per quello che ci ha lasciato, e che gli sopravviverà. E quindi grazie di tutto, Tony Allen.

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Nick Cave, Cosmic dancer
A settembre uscirà Angelheaded hipster. The songs of Marc Bolan and T. Rex, un album tributo al leader dei T-Rex Marc Bolan, grande autore britannico di musica rock, amico e rivale di David Bowie nella scena glam, morto in un incidente stradale nel 1977. La compilation raccoglie 26 brani e dentro ci sono superstar internazionali come Elton John in coppia con gli U2, che ha rifatto il classico Bang a gong (get it on), Joan Jett (alle prese con Jeepster) e Lucinda Williams (Life’s a gas), Kesha (che fa Children of the revolution, dopo aver sorpreso anni fa con una cover di Bob Dylan incredibile) Father John Misty (Main man) e altri.

Ora, queste raccolte spesso sono delle baracconate, lo so. Però il primo brano estratto è di altissimo livello. Nick Cave, tanto per cambiare, si dimostra di un’altra categoria e fa sua Cosmic dancer, pubblicata nel 1971 nel capolavoro Electric warrior. E non solo la interpreta benissimo, ma la piega al suo universo sonoro con un arrangiamento orchestrale che sul finale si avvicina alla dissonanza, trovando una chiave inedita nella melodia scritta da Bolan.

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Drake, Desires (feat. Future)
Drake ha pubblicato a sorpresa un mixtape intitolato Dark lane demo tapes, che raccoglie degli inediti (alcuni già pubblicati nei mesi scorsi) e lo vede collaborare con altri rapper come Future, Young Thug, Chris Brown e il giovane Playboi Carti. C’è anche Toosie slide, un brano composto su misura per il social network TikTok. Nel complesso, Dark lane demo tapes sembra piuttosto cupo per gli standard dell’artista canadese.

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Other Lives, Sound of violence
Gli Other Lives sono una band di Stillwater, in Oklahoma. E sono piuttosto sottovalutati. Da anni fanno dischi ottimi, a partire dallo splendido Tamer animals del 2011. I Radiohead li hanno scelti come gruppo spalla per le date statunitensi nel 2012. Ora sono tornati con un nuovo disco, intitolato For their love, che conferma la loro bravura nel creare atmosfere sospese tra il folk e la musica orchestrale.

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Oasis, Don’t stop
Questa settimana va così, le canzoni del weekend sono nostalgiche. Nei giorni scorsi Noel Gallagher ha pubblicato un brano inedito degli Oasis. Dice di averlo trovato in casa dentro un cd senza titolo nei primi giorni di quarantena. Il pezzo s’intitola Don’t stop ed è una classica ballata in stile Gallagher (quelle che Noel non vuole più scrivere o non riesce più a scrivere). Niente di epocale, è comunque un demo registrato con pochi mezzi, ma risentire certe atmosfere fa tenerezza e la citazione di Dig a pony dei Beatles è carina.

Il fratello Liam non l’ha presa bene, tanto per cambiare. Ma se avete cinque minuti liberi leggetevi i suoi commenti su Twitter, dove Liam si rivolge a Noel come “tofu boy”, fanno morire dal ridere. I fratelli Gallagher dovrebbero fare una serie tv, sarebbe uno spasso.

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P.S. Playlist di Spotify aggiornata, buon ascolto!

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