18 gennaio 2018 15:00

Sebastian Tomczak è un musicista che vive in Australia. Ha registrato dieci ore di rumore bianco, quel tipo di rumore di fondo prodotto dagli apparecchi elettronici, e ha messo su YouTube l’audio della registrazione. Qualche tempo dopo ha ricevuto cinque notifiche di violazione del copyright, alcune da autori di programmi per la terapia del sonno che usano il rumore bianco. Della notizia ha parlato all’inizio dell’anno la Bbc.

Indagando, si è capito che le accuse di violazione del copyright sono state generate automaticamente da un algoritmo di YouTube che analizza i contenuti alla ricerca di possibili somiglianze. È un caso estremo, e come sembra giusto probabilmente si risolverà a favore di Tomczak, ma altre situazioni sono più complicate.

Nell’industria musicale, per esempio, le accuse di plagio sono continue. L’ultima è quella dei Radiohead, secondo cui la cantante Lana Del Rey avrebbe copiato una loro canzone, Creep. Ma per questa stessa canzone i Radiohead erano stati a loro volta accusati di plagio dagli autori di un’altra canzone, The air that I breathe. E dopo l’intervento di un giudice, gli autori di The air that I breathe sono diventati anche coautori di Creep insieme ai Radiohead. Una situazione paradossale, ha notato Amanda Petrusich sul New Yorker: “Quante sono le permutazioni possibili all’interno di un numero finito di note musicali?”.

È una domanda che vale per le parole, per le immagini, per i colori, perfino per gli odori. La disponibilità di contenuti non è mai stata così abbondante. E, come in una grande conversazione collettiva, questo aumenta le opportunità di scambio, collegamento, condivisione. Ma aumenta anche il rischio che qualcuno finisca per copiare. Secondo Petrusich, però, la questione a cui è difficile dare una risposta è un’altra: è meglio far parte di una grande conversazione o cercare di creare qualcosa di completamente nuovo?

Questa rubrica è stata pubblicata il 19 gennaio 2018 a pagina 3 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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