27 settembre 2018 13:41

Nei prossimi cent’anni gli esseri umani cambieranno più di quanto siano cambiati nel corso di tutta la storia dell’umanità. È la tesi dell’ultimo libro di Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, uscito qualche settimana fa. Storico, saggista, professore universitario, Harari ha 42 anni e nel giro di poco tempo è passato dall’anonimato delle aule dell’Università ebraica di Gerusalemme, dove insegna tuttora, alla notorietà internazionale. Secondo l’Economist potrebbe essere “il primo intellettuale globale del ventunesimo secolo”.

Mentre i primi due libri (Sapiens, del 2014, e Homo Deus, del 2016, pubblicati in Italia da Bompiani) erano saggi di divulgazione storica e scientifica, l’ultimo si avventura nel campo delle previsioni, non sempre convincenti ma tutte interessanti. L’idea di Harari è che la combinazione di biotecnologie e intelligenza artificiale consentirà di potenziare gli individui ma anche di controllarli e manipolarli, proprio come se fossero robot.

Quindi “è uno spreco di tempo e di risorse pretendere di formare i giovani per un mondo del lavoro che nessuno sa come sarà fra trent’anni”, sostiene Harari in un’intervista al quotidiano francese Le Monde. “Ai bambini è meglio insegnare come cambiare. Le persone dovranno reinventarsi più volte nel corso della loro vita, perché la maggior parte dei lavori ripetitivi sparirà, e non si tratterà solo di quelli manuali. Il mestiere di infermiere, per esempio, che richiede competenze pratiche, sarà meno a rischio del mestiere di medico, che analizza le informazioni, le confronta con i casi precedenti, cerca un modello. Proprio quello che farà, e molto meglio, l’intelligenza artificiale”. Una ragione in più per regolamentare la raccolta e la conservazione delle informazioni digitali. Ma non è per questo che Harari si rifiuta di avere uno smartphone: “Ho paura di distrarmi, non di essere controllato”.

Questa rubrica è uscita il 28 settembre 2018 nel numero 1275 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati

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