Caro bibliopatologo,
quale sarà la fine della mia biblioteca? Mi sono premunita da esiti catastrofici destinandola alle mie alunne più care, ma l’ossessione continua. Probabilmente il trauma originario è l’aver trovato sulle bancarelle i libri di mio nonno, venduti dalle mie cugine per poche lire (io ero in bolletta e non avevo nemmeno i soldi per ricomprarli). È come vedere svenduta una vita – quella di mio nonno e, in futuro, la mia. Potrò mai guarire da questo pensiero?
–Sandra, Ascoli Piceno
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Caro bibliopatologo,
solo una domanda, angosciante: dopo morto che fine faranno i miei libri?
–Angelo
Cara Sandra, caro Angelo,
se fossi un padre confessore il mio compito sarebbe relativamente più semplice. Basterebbe allineare un paio di riferimenti scritturali – “Non accumulate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano” (Mt. 6,19), oppure: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini” (Mt. 6,34) – per poi impartirvi una distratta benedizione e mandarvi assolti in nomine Patris eccetera. Ma a ciascuno il suo ministero, e temo che un bibliopatologo debba ricorrere ad altre formule liturgiche, ad altre consolazioni, ad altre scritture. Perciò ho scelto per voi due brani che mi auguro troverete passabilmente edificanti. Diamoci un contegno ecclesiastico e chiamiamoli pure il Vecchio e il Nuovo testamento.
Il primo brano viene da De la bibliomanie di Louis Bollioud-Mermet, un libello del 1761 pervaso da un senso così disperato di vanità universale che possiamo considerarlo, nel nostro canone provvisorio, l’equivalente dell’Ecclesiaste. Come vedete, il vostro dilemma assilla da secoli l’Eterno Bibliomane:
Per chi ha innalzato questo edificio letterario, fatto di materiali diversi ognuno dei quali è costato tante ricerche, pene e soldi? Egli lo ignora. “Accumula tesori e non sa per chi”. Può essere che andranno a un erede a cui non importerà nulla di una tale eredità, tranne che subito la ricondurrà all’aspetto originale e cioè convertirà al più presto i libri in soldi. Allora si vedrà questo assortimento di libri, riunito con tanta difficoltà, disperdersi qui e là, per non ricongiungersi più e finire da quasi altrettanti nuovi padroni quanti sono essi stessi. Il vecchio padrone ha avuto un bel mettere il suo nome sopra i titoli e scarabocchiare i frontespizi ostentando le sue qualità: tutte queste iscrizioni, ex libris, ex bibliotheca, dureranno giusto il tempo necessario a rendere pubblica la sua vanità e la sua follia. Dopo saranno subito cancellate.
Non è molto consolante, lo ammetto, ma per fortuna il Vecchio testamento trova sempre compimento nel Nuovo. Ecco quindi una riflessione che Henri-Jean Martin, il grande storico del libro in Europa, fece quand’era ormai ottantenne. Anche se si riferiva alla biblioteca di Lione e non alla sua biblioteca privata, direi che si può estenderla a quest’ultima, e quindi a tutti i nostri miserandi scaffali. Da Les métamorphoses du livre:
Quando si è direttore di una biblioteca come quella, si ha l’impressione di essere poca cosa, perché si è stati preceduti da decine e decine di antesignani che hanno maneggiato quei libri e sono stati incaricati di preservarli. Ciascuno a suo turno per un tempo limitato, perché i libri ci sopravviveranno come sono sopravvissuti ai nostri predecessori. Questa sensazione di eternità della cultura è qualcosa di profondamente commovente.
L’idea che i nostri libri finiranno in altre mani e comporranno nuove famiglie mi pare, tutto sommato, più bella e generosa dell’aspirazione a trasformare una biblioteca in un mausoleo, o nel doppio cartaceo di quello che fu un giorno il suo proprietario. Henri-Jean Martin sarà quindi il nostro Giovanni evangelista: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” (Gv. 3,8). Come il vento, così i libri. Perciò vi assolvo. Non so in nome di che cosa, ma vi assolvo.
Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it
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