09 giugno 2017 12:03

Gentile bibliopatologo,
soffro di ansia da prestazione. Quando leggo non mi sento all’altezza del libro che ho tra le mani: capisco la trama, ma ho la sensazione di non riuscire ad andare oltre la superficie, sotto la quale si nasconde il vero significato del testo. C’è ancora speranza per me?

–Claudia

Cara Claudia,
sei sicura che il vero significato di un testo si nasconda sotto la superficie? Se ti lasci prendere troppo la mano da questa idea, ti ritroverai arruolata nella loggia segreta degli Adepti del velame. Umberto Eco chiamava così quegli interpreti ottocenteschi di Dante che andavano a caccia di significati della Divina Commedia nascosti “sotto il velame delli versi strani”. Gabriele Rossetti, per esempio, era convinto che Dante fosse massone e rosicruciano, anche se ai suoi tempi (e a dire il vero per qualche altro secolo) non esistevano né i Rosacroce né la massoneria. Incurante della cronologia, Rossetti si accanì a cercare nel poema dantesco la smoking gun, il simbolo esoterico che avrebbe confermato le sue congetture: una croce inscritta in una rosa, e sotto un pellicano. Trovò ovviamente tutte le croci che voleva, trattandosi della Divina Commedia, moltissime rose (la poesia medievale, e non solo quella, è un gigantesco roseto) e perfino un pellicano, che nei bestiari dell’epoca era simbolo di Cristo. Le tre cose insieme – croce, rosa e pellicano – Rossetti non le trovò mai; eppure seguì imperterrito le sue chimere e le sue paranoie.

La loggia degli Adepti del velame, quella sì, esisteva da molti secoli prima di Rossetti e ha continuato a espandersi dopo, dentro e fuori gli studi danteschi. Anzi, Eco avrebbe potuto accorgersi più spesso che quella malapianta era cresciuta anche nel suo orticello, la semiologia. Ricordo che all’università mi fecero studiare un libro di Algirdas Julien Greimas dal titolo Maupassant. La semiotica del testo: esercizi pratici, un’analisi parola per parola del brevissimo racconto Due amici (1883). Più o meno come Rossetti, ma con fantasia assai meno sbrigliata, Greimas si era convinto per qualche strana ragione che il testo di Maupassant si reggesse su una rappresentazione dei quattro elementi – acqua, aria, terra, fuoco. A un certo punto (mezza riga, nel racconto) i due amici si siedono in un caffè a bere dell’assenzio, ed ecco cosa riusciva a ricavarne il fratello Greimas, membro onorario della loggia degli Adepti del velame, nella sua prosa ferrigna:

Se si esamina innanzitutto l’“assenzio”, ci si accorge che esso si presenta a prima vista, nella sua qualità di “acquavite” (fr.: eau-de-vie), come termine complesso che riunisce i valori dell’acqua e del sole; valori che abbiamo riconosciuto rappresentativi, sul piano figurativo, di due destinanti situati sulla deissi positiva: il destinante (Sole) e il non anti-destinante (Acqua). Tuttavia, pur se l’assenzio appare nella sua forma liquida, esso non è espresso nel testo, come ci si aspetterebbe, come dispensatore di calore-vita. Si tratta dunque di un termine complesso di cui uno dei poli (quello solare) resta occultato. Al contrario, l’“assenzio” (…) viene designato come un “verde”, ossia, sul piano solare, con il valore cromatico dell’apparire e non con quello termico dell’essere.

Sembra di leggere il delirio di un alchimista-burocrate. Per 250 pagine Greimas inchiodava Maupassant a quel singolare strumento di tortura noto come “quadrato semiotico” e gli estorceva confessioni fallaci che con le buone maniere non avrebbe mai ottenuto. E dire che i due amici del racconto “s’intendevano magnificamente senza parole”! Ecco, Claudia, io ti ho fatto degli esempi estremi, ma il rapporto tra un lettore e il suo romanzo dovrebbe somigliare di più a quello degli amici di Maupassant; si tratta, insomma, di godersi la contemplazione assorta di una superficie su cui le confidenze più segrete e profonde affiorano di buon grado da sole, senza bisogno di stanarle nei loro nascondigli o di ripescarle dai loro abissi. Ma queste son cose che altri hanno detto prima e meglio di me. Ti prescrivo perciò un breve e bellissimo saggio scritto da Susan Sontag nel 1964, che si intitola Contro l’interpretazione. Qui un campione gratuito:

Ciò che oggi è importante è ricuperare i nostri sensi. Dobbiamo imparare a vedere di più, a udire di più, a sentire di più. Il nostro compito non è quello di trovare in un’opera d’arte la quantità massima di contenuto, e ancor meno di spremerne più contenuto di quello che già c’è (…) Anziché di un’ermeneutica, abbiamo bisogno di una erotica dell’arte.

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