12 aprile 2022 13:56

Gentile bibliopatologo,
in una società dove tutti odiano gli spoiler, io ne sono dipendente. Al primo capitolo di ogni libro, vivo un’impellente necessità di scorrere direttamente all’ultima pagina e leggerla, talvolta di divorare l’intero capitolo finale. Solo allora posso godere della lettura. Posso spiegarlo con la necessità di vivere un’esperienza sicura in un modo imprevedibile, oppure è solo smania di onnipotenza?

– Claudia

Cara Claudia,
sono pronto a scommettere che i tuoi amici, quando ti invitano a cena, dopo averti congedata corrono in cucina a controllare che non manchi nulla dal cassetto delle posate. Come lo so? Quando Carlo Fruttero e Franco Lucentini pubblicarono Enigma in luogo di mare, Enzo Golino lo stroncò su Millelibri, e poi aggiunse un perfido post scriptum: “A proposito, l’omicida è…”. Gli autori, comprensibilmente, non la presero bene: “Di un gigante come del più piccolo autore puoi dire che ha fatto una schifezza”, disse Fruttero, “ma nel creare la suspense tutti e due ci mettono del lavoro, da Omero alla Tamaro”. Golino, pertanto, aveva violato un confine sacro: “L’abbiamo cancellato dall’elenco delle persone civili. Un gesto del genere tra galantuomini non si fa. È come essere invitati a una festa, andarci e rubare i cucchiaini”. Quel che Fruttero forse non sospettava è che ci sono anche lettrici come te, che grazie ai cucchiaini rubati si godono meglio il dessert.

Le due spiegazioni che dai alla tua abitudine insolita – vivere un’esperienza sicura in modo imprevedibile, covare smanie di onnipotenza – sono in realtà una spiegazione sola. Quella a cui aspiri è infatti una prerogativa divina. Forse ricorderai, nel canto XVII del Paradiso, la lezione sul libero arbitrio, la predestinazione e la prescienza divina che Dante riceve dal suo antenato Cacciaguida.

Tutti i nostri fatti e fatterelli contingenti, gli dice pressappoco Cacciaguida, sono presenti nella mente divina; ma non per questo prendono carattere di necessità, “se non come dal viso in che si specchia / nave che per torrente giù discende”. Il tragitto di una nave non dipende dallo sguardo di chi la osserva. Dio sa già dove approderanno le nostre barchette, ma questo non rende noi nocchieri meno liberi. Non determina il futuro, lo coglie in un colpo d’occhio dal suo eterno presente.

La posizione da cui ti piace osservare le vite immaginarie dei personaggi di un romanzo è dunque la stessa del padreterno dantesco. Vuoi visitare subito il porto in cui approderanno le loro navicelle, o il punto in cui andranno a picco. Solo allora puoi goderti con sovrumana prescienza le libere vie per cui andranno incontro al loro destino. Del resto, se il romanziere ha voluto giocare a fare il dio onnipotente e onnisciente, creando mondi e uomini per poi scrutarli da una torre svettante sulle acque del tempo, perché da lettrice non dovresti pretendere altrettanto, e affiancarlo come guardiana del faro?

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