07 maggio 2015 12:05

Era previsto che questo mese si tenesse in Birmania un referendum che avrebbe dovuto affrontare tutte quelle clausole cinicamente inserite dal regime militare nella costituzione del 2008 con l’obiettivo di mantenersi al potere. Ma questo non succederà: né ora né probabilmente prima delle elezioni nazionali previste a ottobre o novembre di quest’anno. In Birmania c’è perfino chi si chiede se le stesse elezioni avranno luogo nei tempi previsti.

“Vorrei solamente ricordarvi che è dal 2012 che sostengo che un po’ di sano scetticismo (sulle vere intenzioni dell’esercito) sarebbe una cosa molto, molto positiva”, ha dichiarato Aung San Suu Kyi, da quasi trent’anni leader del movimento democratico in Birmania. Rivolgendosi il mese scorso al giornale The Guardian, ha avvertito che “troppi dei nostri amici occidentali mostrano un eccessivo ottimismo verso il processo di democratizzazione”.

Un bar di Rangoon, in Birmania, il 31 marzo 2015. (Minzayar, Reuters/Contrasto)

Ha sicuramente ragione. Da quando Suu Kyi ha finito di scontare gli arresti domiciliari, nel 2010, i suoi sostenitori all’estero (tra i quali ci sono la maggior parte dei leader dei paesi democratici) hanno ritenuto che le riforme democratiche fossero ormai pienamente avviate. Per questo hanno cancellato le sanzioni contro il regime militare, facendo sì che i loro cittadini si riversassero in Birmania per investire in un’economia quasi totalmente sottosviluppata.

Anche la Cina e altri paesi non democratici, naturalmente, si sono aggiunti al gruppo e un gigantesco boom economico sta oggi trasformando la Birmania. Gli investitori stranieri ne hanno tratto un grande beneficio. Ma un beneficio anche maggiore lo hanno ottenuto gli ex generali e altre persone con forti legami con l’esercito. Esiste anche una stampa più o meno libera. Ma non si può davvero parlare di democrazia.

L’ex generale Thein Sein è ancora presidente ed è ancora in carica un parlamento controllato da ufficiali militari e sostenitori del regime. Se le elezioni si svolgeranno effettivamente il prossimo autunno, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Suu Kyi otterrà sicuramente la maggioranza dei seggi. Tuttavia la costituzione scritta dai militari impedisce a Suu Kyi di essere eletta presidente sull’assurda base del fatto che i suoi due figli sono cittadini stranieri (il suo defunto marito era britannico).

Probabilmente è ormai troppo tardi per reintrodurre le sanzioni: la realtà è che i birmani devono fare da soli

Questo è uno dei motivi per i quali cambiare la costituzione è diventata una questione cruciale. Un altro motivo è la norma che riserva agli ufficiali militari non eletti un quarto dei seggi in parlamento, attribuendogli un potere di veto su ogni modifica costituzionale. Il regime non si è davvero convinto a cedere il potere ai civili: ha semplicemente operato alcuni cambiamenti di facciata sufficienti a convincere gli stranieri che era ormai accettabile investire in Birmania.

Un’ampia maggioranza di cittadini birmani ammira Aung San Suu Kyi, figlia dell’eroe dell’indipendenza Aung San, e cinque milioni di loro hanno firmato una petizione per modificare la costituzione in modo da permetterle di essere eletta presidente. Il regime ha semplicemente ignorato la petizione, apparentemente senza particolari conseguenze. Gli investimenti stranieri, intanto, continuano ad arrivare.

Il referendum sulle modifiche costituzionali è nelle mani dell’attuale parlamento, dove abbondano i sostenitori del regime eletti in seguito a un voto boicottato dall’Nld. Inizialmente era previsto per questo mese, ma ancora non è stata annunciata una data. Nessuno ha inoltre dichiarato esattamente quali, delle 201 sezioni della costituzione per le quali sono stati proposti dei cambiamenti, saranno effettivamente oggetto del voto.

Quale delle otto versioni della nuova clausola relativa all’eleggibilità alla presidenza di Suu Kyi sarà contenuta nel referendum, ammettendo che questo abbia luogo? Nessuno lo sa e, di fatto, sarà il regime a decidere. Forse nessuna delle otto. Ed è ormai quasi certo che le elezioni autunnali si svolgeranno in base alla vecchia costituzione.

È possibile che Thein Sein, l’attuale presidente, stia davvero cercando di far accettare la democrazia ai suoi colleghi militari più recalcitranti e che stia incontrando una grande resistenza. Dopo tutto, i militari hanno avuto il controllo assoluto della Birmania negli ultimi 35 anni, durante i quali molti di loro si sono considerevolmente arricchiti. Ma la verità è che lo stesso Thein Sein non sembra particolarmente entusiasta all’idea di una vera democrazia.

In un’intervista con la Bbc a marzo, ha riaffermato che l’esercito deve rimanere attivo politicamente (”servire gli interessi del popolo significa occuparsi della politica nazionale”) e che il ruolo dei militari cambierà solo gradualmente “parallelamente alla maturazione delle norme e delle pratiche politiche dei partiti”. In altre parole, sarà l’esercito a decidere se e quando interrompere tutto il processo.

Forse non dovrebbe sorprendere che l’esercito voglia rimanere attaccato al potere il più a lungo possibile, ma è interessante osservare come i sostenitori stranieri della democrazia in Birmania abbiano assecondato questa messa in scena. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, per esempio, ha visitato la Birmania due volte dal 2012, ma la cosa più dura che è riuscito a dire è “non riesco a comprendere una disposizione che impedisce a qualcuno di candidarsi alla presidenza a causa dell’identità dei suoi figli”.

Probabilmente è ormai troppo tardi per reintrodurre le sanzioni: la realtà è che i birmani devono fare da soli. L’unico strumento efficace potrebbero essere delle imponenti manifestazioni non violente, simili a quelle che si svolsero nel 1988 e varie altre volte in seguito. L’unico problema, in questo caso, è che l’esercito birmano non ha mai esitato ad aprire il fuoco sui suoi concittadini.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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