02 agosto 2017 10:20

Anthony Zurcher, corrispondente della Bbc per l’America del nord, lo ha scritto in un articolo il 27 luglio. “Abraham Lincoln aveva, all’interno della sua amministrazione, una celebre ‘squadra di rivali’, ma oggi sta succedendo qualcosa di diverso”, ha scritto Zurcher. “La Casa Bianca di Trump sembra più simile alla scena finale del film Le iene, dove tutti urlano e puntano la pistola su qualcun altro, con buone possibilità che nessuno ne esca fuori illeso”.

Da quando è cominciata la sparatoria diverse persone se ne sono andate dalla Casa Bianca – Sean Spicer, Michael Short, Reince Priebus – e nessuno direbbe che ne sono usciti illesi. L’ultimo in ordine di tempo è Anthony Scaramucci, il direttore della comuncazione che era stato nominato appena una decina di giorni fa.

Scaramucci – che sembrava in effetti il Mister Pink delle Iene di Tarantino – ha superato tutti quanti dicendo una serie di volgarità che hanno costretto a dimettersi il capo dello staff, Reince Priebus. E perché il nuovo capo dello staff, il generale John Kelly, ha silurato Scaramucci? Forse perché è stato volgare, appunto, ma più probabilmente perché Scaramucci insisteva di dover rispondere direttamente a Trump e non a Kelly.

Tagliare i ponti con un tweet
Le cose alla Casa Bianca stanno andando a rotoli più velocemente di quanto anche i più attenti osservatori del comportamento di Donald Trump avessero previsto, e l’elemento più significativo non è la sua disfunzionalità. Gli Stati Uniti funzionerebbero bene, in realtà piuttosto meglio, se Trump non fosse mai riuscito a trasformare i suoi tweet in realtà. Ma il fatto importante è che sta tagliando i ponti con il Partito repubblicano.

Trump non è mai stato un vero repubblicano. Da vero populista, non ha ideologia. Se Barack Obama fosse stato travolto da un autobus e Trump avesse deciso di candidarsi alla presidenza nel 2008, avrebbe potuto tranquillamente cercare di diventare il candidato democratico.

I veterani del Partito repubblicano lo sapevano e hanno cercato in tutti i modi di evitare che ottenesse la candidatura repubblicana nel 2016. Dopodiché sono stati costretti a conviverci, e da quando Trump ha ottenuto la presidenza per conto loro, si sono trovati a dover stringere una scomoda alleanza. Che adesso sta per finire.

I repubblicani al congresso non sarebbero in grado di sbarazzarsi di Trump prima del novembre 2018

Parte di questo accordo non scritto prevedeva che esponenti dell’establishment repubblicano ottenessero incarichi di responsabilità nella Casa Bianca di Trump. Reince Priebus, scaricato venerdì scorso, era il più importante tra loro. Prima era toccato alla vice di gabinetto Katie Walsh, al direttore delle comunicazioni Mike Dubke, al direttore della comunicazione Sean Spicer e all’addetto stampa Michael Short, tutti allontananti prima di lui.

Adesso rimangono nazionalisti bianchi della alt-right come Steve Bannon e Stephen Mille, newyorchesi di tendenza democratica come Dina Powell and Gary Cohn, Jared Kushner, Dina Powell e Gary Cohn, esponenti della famiglia Trump (Donald junior e Ivanka), ex imprenditori come il segretario di stato Rex Tillerson (che potrebbe essere il prossimo a dimettersi) e un triumvirato di generali con importanti cariche civili.

Si tratta di una ricetta per la paralisi, ma a chi importa? Volevate davvero che alla Casa Bianca ci fosse una squadra in grado di permettere a Donald Trump d’imporre la sua volontà (o meglio i suoi capricci) sugli Stati Uniti e, in un certo senso, su tutto il mondo? No, immagino, e neppure i veterani repubblicani, i quali però sono molto interessati a controllare la Casa Bianca.

Una scommessa rischiosa
I repubblicani più lungimiranti sono perfettamente consapevoli che i mutamenti demografici della popolazione statunitense stanno erodendo il loro zoccolo duro elettorale. Questa potrebbe essere la loro ultima possibilità, visto che controllano entrambe le camere del congresso e (almeno in teoria) la presidenza, per rimodellare la loro immagine e le loro politiche in un modo da attrarre almeno una parte delle minoranze emergenti.

Non possono farlo se non controllano la Casa Bianca, e l’unico modo che hanno di farlo è che Trump lasci e al suo posto arrivi il vicepresidente Mike Pence (un vero repubblicano). Una messa in stato d’accusa potrebbe portare al risultato.

Sarebbe molto difficile concepire un piano simile senza spaccare il Partito repubblicano, anche se le attuali indagini dell’Fbi stanno facendo emergere prove dei legami di Trump con la Russia. Eppure le probabilità di una messa in stato d’accusa stanno salendo: se prima erano del tutto impossibili, oggi lo sono un po’ di meno.

Cosa farebbe Trump se dovesse affrontare una messa in stato d’accusa?

Si tratterebbe di una scommessa rischiosa. I repubblicani al congresso non sarebbero in grado di sbarazzarsi di Trump prima del novembre 2018, e le conseguenze di una messa in stato d’accusa potrebbero costargli il controllo del congresso nelle elezioni di metà mandato. Nella migliore delle ipotesi, tuttavia, darebbero ai repubblicani il tempo di arrivare alle elezioni del 2020 con Mike Pence come presidente in carica alla Casa Bianca e con alcuni importanti risultati legislativi all’attivo.

Cosa farebbe Trump se dovesse affrontare una messa in stato d’accusa? Forse opterebbe per una sorta di patteggiamento e si dimetterebbe, ma non rientrerebbe nel suo carattere. Il suo istinto lo porterebbe a combattere, e il suo modo di combattere passa perlopiù dalla ricerca di modi per distrarre l’opinione pubblica. La migliore diversione è una guerra, ma contro chi?

Anche Trump farebbe fatica a far digerire al popolo statunitense l’idea di una guerra all’Iran. Nonostante tutta la propaganda, gli americani non si sentono minacciati dall’Iran. La Corea del Nord, invece, dice e fa cose abbastanza provocatorie da dare a Trump alcune ragioni (per quanto esili) per attaccare.

Se pensasse che in gioco c’è la sua presidenza, non esiterebbe sicuramente a farlo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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