21 ottobre 2018 10:11

Sono cresciuto con quattro fratelli, quindi mi trovo in una posizione invidiabile per parlare di aumento della popolazione. Quando ero piccolo le famiglie numerose erano la norma, ma nel tempo le cose sono cambiate. Io e i miei quattro fratelli e sorelle abbiamo avuto un totale di dieci figli, quindi non superiamo il livello di sostituzione delle generazioni (una media di 2,1 figli per donna è il tasso che mantiene costante la popolazione di un paese nel tempo). In Tanzania, però, la situazione è molto diversa.

“Le donne possono buttare via i contraccettivi”, ha dichiarato di recente il presidente John Magufuli, sottolineando che dal momento in cui l’istruzione superiore è diventata gratuita nel paese, i bambini non sono più un fardello economico per le famiglie. La Tanzania, secondo lui, ha bisogno di persone e le donne che non fanno molti bambini sono pigre.

“Non vogliono lavorare duro per sfamare una famiglia numerosa, è per questo che usano i contraccettivi e fanno solo uno o due figli”, ha insistito Magufuli. “Ho viaggiato in Europa e altrove, e ho visto gli effetti nefasti dei metodi per il controllo delle nascite”.

Previsioni per il 2100
La Tanzania non ha un problema di natalità. In media ogni donna ha più di cinque figli. La popolazione cresce stabilmente del 3 per cento da decenni e oggi i tanzaniani, circa 60 milioni, sono sei volte più numerosi rispetto al 1961, l’anno dell’indipendenza. Inoltre non ci sono segnali che lascino pensare a un calo della natalità: di questo passo la popolazione supererà i cento milioni di persone in meno di vent’anni.

Eppure Magufuli pensa che il suo paese avrebbe bisogno di più abitanti. E non è il solo. Yoweri Museveni, il presidente dell’Uganda (dove la natalità è simile a quella della Tanzania) una volta ha detto che il suo paese potrebbe sfamare facilmente cento milioni di persone e ha definito il boom demografico “una grande risorsa”. Nel 1962, anno dell’indipendenza, gli ugandesi erano sette milioni. Oggi sono 43 milioni. La soglia dei cento milioni sarà superata in circa trent’anni e non c’è nessun motivo per pensare che la crescita si fermerà. Anche in Uganda le nascite non calano da decenni.

John Magufuli pensa che una popolazione numerosa renda la Tanzania più forte

Secondo le previsioni entro la fine del secolo, ipotizzando un avvicinamento graduale al livello di sostituzione – com’è successo in Asia e in America Latina negli ultimi cinquant’anni – la popolazione complessiva di Tanzania e Uganda potrebbe raggiungere i 300 milioni di abitanti. Se invece il tasso di fertilità restasse costante, nel 2100 potrebbero esserci un miliardo di tanzaniani e ugandesi.

I territori di questi due paesi occupano un’area che è il doppio di quella della Francia, dove vivono 65 milioni di persone. Con un miliardo di abitanti sarebbero otto volte più densamente popolati della Francia. Diversamente dalla Francia, la grande maggioranza della popolazione dei due paesi africani vivrebbe ancora in povertà. Il tasso di crescita economica a lungo termine è del 3 per cento per entrambi i paesi e coincide con il tasso di crescita della popolazione. Questo significa che la maggior parte della popolazione resterà povera.

John Magufuli vorrebbe che i suoi connazionali facessero più figli presumibilmente perché pensa che una popolazione numerosa renda il paese più forte. Se questo ragionamento corrispondesse alla realtà, la Tanzania sarebbe già potente quanto la Francia. Ma la verità è che una popolazione cinque o dieci volte superiore renderebbe la Tanzania ancora più debole, avrebbe conseguenze devastanti per l’ambiente e significherebbe che la gran parte degli abitanti non sarebbe in grado di sfamarsi.

Magufuli ha conquistato consensi in l’Africa orientale con un’ostentata campagna contro la corruzione, ma è anche un leader autoritario e volubile, che ha vietato le proteste, chiuso due emittenti radio accusandole di “sedizione” e denunciato almeno dieci persone per averlo “insultato” sui mezzi d’informazione.

Quasi nessuno in Tanzania pensa che limitare le nascite sia una priorità, e di sicuro non è un tema che fa vincere le elezioni. Lo stesso vale per il resto dell’Africa subsahariana. Chiunque si azzardi a sottolineare che è un problema reale viene accusato di razzismo o neocolonialismo. Ma ci sono alcune eccezioni, per esempio in Ghana.

La popolazione del Ghana era di cinque milioni di abitanti al momento dell’indipendenza. Ora si attesta sui 30 milioni. Il governo, con grandi sforzi, è riuscito a portare il tasso di fecondità totale a quattro figli per ogni donna. Se questo tasso continuerà a calare, si prevede che per la fine del secolo la popolazione sarà di “appena” 73 milioni di persone.

Leticia Adelaide Appiah pensa che siano comunque troppe. Appiah è la direttrice esecutiva del National population council (l’agenzia che consiglia il governo ghaneano sulle politiche demografiche). In un’intervista Appiah ha dichiarato di aver proposto al governo di Accra di adottare politiche per limitare la natalità, in modo da mantenere il tasso di fecondità a tre figli per madre, per esempio togliendo i servizi pubblici gratuiti alle donne che ne fanno di più. Anche se è vero che questa politica ricorda quella del figlio unico in Cina, almeno è un tentativo di trovare una soluzione.

Appiah è stata duramente criticata per questa proposta (quasi sempre da parte degli uomini), ma continua a tenere duro. È difficile che il governo ghaneano la approvi, ma resta il fatto che l’Africa ha bisogno di donne come Appiah.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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