15 agosto 2019 10:23

Dio solo sa cosa intendesse davvero il romanziere V.S.Naipaul quando, mezzo secolo fa, definì l’India “la civiltà ferita” nel suo libro di viaggio misto a psicoanalisi dedicato alla terra d’origine dei suoi antenati. Ma è un’espressione che torna utile, perché sintetizza l’idea che il 5 agosto ha spinto il primo ministro Narendra Modi ad abrogare gli accordi che legano il Kashmir all’India.

Tutto questo porterà a una guerra. Di sicuro a un’altra guerra in Kashmir, dove decine di migliaia di persone sono state uccise durante l’ultima rivolta contro il governo indiano (1989- 2007). E forse a un’altra guerra tra l’India e il Pakistan. Ce ne sono già state tre, naturalmente, quindi forse non c’è niente di così grave, ma questa sarebbe la prima da quando entrambi i paesi si sono dotati di armi atomiche.

Quando il Regno Unito rinunciò al suo impero nel subcontinente indiano nel 1947, la regola generale dell’epoca fu che le aree a maggioranza musulmana andassero al Pakistan, e quelle a maggioranza indù all’India. Il Kashmir tuttavia rimase una questione spinosa, perché si trattava di un “principato” con una maggioranza musulmana ma con un capo di stato indù: e nei principati, che non sono mai direttamente stati sotto controllo britannico, era il principe a prendere le decisioni.

Il maharajah del Jammu e Kashmir (questo il nome intero dello stato) aveva esitato per un po’, sperando di trasformare il territorio in un paese pienamente indipendente alle sue dipendenze. Quando il nuovo governo del Pakistan perse la pazienza, inviando i suoi “uomini tribali” in Kashmir per rovesciarlo, il principe scelse rapidamente l’India, aprendo un conflitto che 72 anni dopo è ancora in corso.

L’India avrebbe probabilmente dovuto stringere un accordo con il Pakistan per la divisione dello stato, cedendo il Kashmir (popolazione attuale: sette milioni, quasi tutti musulmani) al Pakistan e tenendosi il Jammu (popolazione attuale: cinque milioni, due terzi dei quali indù). Invece ha cercato di tenersi tutto, finendo per entrare in guerra con il paese vicino.

Vari governi centrali indiani hanno eroso l’autonomia del Jammu e Kashmir nel corso degli anni

Alla fine di quella prima guerra, l’India ha continuato a controllare la densamente popolata valle del Jammu e Kashmir, mentre il Pakistan controllava la zona nord e quella occidentale dell’ex principato. La “linea di controllo” non è cambiata da allora, nonostante due altre guerre indopachistane, e non esiste un confine reciprocamente riconosciuto. Bill Clinton definì una volta quella linea del cessate il fuoco “il luogo più pericoloso al mondo”

Il partito del Congress, che ha portato l’India all’indipendenza, era laico, ma si rese conto che l’unico paese a maggioranza musulmana del paese doveva avere uno statuto speciale. Nel Jammu e Kashmir accettarono il controllo di New Delhi su affari esteri, difesa e comunicazioni ma il parlamento locale mantenne la sua autorità su tutte le altre questioni.

Settarismo indù
Tra queste ci sono leggi che vietano alle persone non nate in Jammu e Kashmir di trasferirsi nello stato e di avere proprietà immobiliari in loco. Un fatto comprensibile, visto che la maggioranza musulmana nello stato, relativamente povera, temeva di farsi comprare o ridurre in minoranza da indù provenienti dal resto dell’India, un paese abitato da un miliardo e trecento milioni di persone, 80 per cento delle quali indù.

Vari governi centrali indiani hanno eroso l’autonomia del Jammu e Kashmir nel corso degli anni, e ci sono stati periodi di protesta armata contro l’indebolimento di questo suo statuto. Ma lo stato era rimasto legalmente autonomo, e i suoi diritti iscritti nella costituzione. Fino al 5 agosto. Poi il governo settario indù di Narendra Modi, forte della sua recente e schiacciante vittoria elettorale dello scorso maggio, li ha spazzati via.

Modi naturalmente sa di essere in cerca di guai. Altri diecimila soldati indiani sono stati inviati in Kashmir (dove già si trova una massiccia presenza militare). Il 5 agosto nello stato le linee telefoniche sono state interrotte, internet messo fuori uso e alcuni rappresentanti politici locali arrestati. New Delhi si aspetta come minimo un’altra rivolta nel Kashmir, e forse un’altra guerra con il Pakistan.

Perché Modi sta facendo tutto questo?
Perché l’idea di “civiltà ferita” è al cuore del nazionalismo indù che ha portato Modi al potere. Secondo questa retorica semplicistica, tutte le passate sfortune e gli attuali problemi dell’India sarebbero dovuti al fatto che il subcontinente indiano – “l’Asia del sud” – è stata conquistato e governato da stranieri per buona parte dell’ultimo millennio.

Per gli ultimi due secoli si è trattato dell’impero britannico, ma almeno i britannici se ne sono tornati a casa. Prima di allora, per molti secoli, erano stati i musulmani – invasori stranieri all’inizio e poi i loro discendenti e convertiti musulmani nati in India – a controllare buona parte del subcontinente. E non se ne sono mai tornati a casa: un terzo della popolazione dell’Asia del sud, compreso il 15 per cento della popolazione indiana, è oggi musulmano.

Ogni movimento nazionalista coltiva il vittimismo, e per i nazionalisti indù pieni di risentimento uno stato indiano a maggioranza musulmana dotato di diritti speciali è un insulto permanente. Abolire tali diritti era una delle principali promesse elettorali di Modi, e oggi la sta mantenendo. Cascasse il mondo.

Probabilmente non cadrà. Le rivolte in Kashmir sicuramente riprenderanno forza, e il Pakistan si sentirà obbligato ad aiutare i ribelli in qualche modo. Alcune migliaia, o più probabilmente decine di migliaia, di persone moriranno e il Kashmir diventerà una zona di guerra occupata per molto tempo, ma l’India e il Pakistan riusciranno probabilmente a evitare di nuovo una guerra vera e propria.

O forse no. In tal caso scopriremo tutti quanto davvero funzioni la deterrenza nucleare reciproca tra due paesi effettivamente in guerra l’uno con l’altro.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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