14 dicembre 2021 15:52

A maggio Heymi Bahar, portavoce dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), ha dichiarato che la “nuova normalità” potrebbe consistere in un’espansione delle energie rinnovabili molto più rapida del previsto, guidata soprattutto dalle forze del mercato. Questo fenomeno sarebbe talmente repentino da creare un nuovo tipo di rischio (su cui però Bahar non è entrato nei dettagli).

La buona notizia è evidente e innegabile. C’è stato un cambio di passo nella crescita dell’energia eolica e solare, la cui produzione è aumentata del 45 per cento a livello globale nel 2020. Nonostante la pandemia, la produzione di quest’anno sarà ancora più alta. Fatto ancora più importante, l’utilizzo delle altre fonti di energia non sta aumentando.

Nel vecchio scenario l’economia globale cresceva di circa il 3 per cento all’anno e la domanda di elettricità aumentava un po’ più rapidamente. Le rinnovabili (soprattutto l’energia idroelettrica, ma in misura minore anche quella eolica e quella solare) crescevano più o meno con lo stesso passo, ma la quota delle rinnovabili rispetto al totale dell’energia prodotta restava bloccata al 15 per cento. L’energia nucleare e i combustibili fossili coprivano il restante 85 per cento.

Costi accessibili
È per questo che le emissioni di anidride carbonica a livello globale non si sono ridotte, anzi sono aumentate ogni anno da quando è stato lanciato l’allarme sul riscaldamento globale. Oggi sono più alte del 40 per cento rispetto al 1990. L’unica speranza per ridurre le emissioni era una “rimonta” dell’energia non ricavata dai combustibili fossili.

Lasciamo perdere le campagne negazioniste sul cambiamento climatico finanziate dall’industria dei combustibili fossili. Sicuramente hanno fatto dei danni, ma la verità è che il gas, il petrolio e il carbone hanno mantenuto il loro dominio soprattutto perché le alternative esistenti non potevano espandersi ulteriormente (come l’energia idroelettrica) o erano molto più costose (come l’eolico, il fotovoltaico e il nucleare).

Ora la situazione è cambiata. Nell’ultimo decennio il costo “attualizzato” dell’energia derivata da fonti rinnovabili si è ridotto in modo notevole: 60 per cento in meno per l’eolico, 80 per cento per il fotovoltaico. Questo significa che in molte aree del pianeta le due alternative oggi sono più economiche rispetto all’energia derivata dai combustibili fossili. Questa tendenza è visibile da anni, ma ora sta producendo effetti concreti.

La percentuale di energia elettrica derivata da fonti non fossili ha raggiunto il 27 per cento nel 2020 e arriverà al 29 per cento nel 2021, con un ulteriore aumento del 3 per cento previsto per l’anno prossimo. Il fotovoltaico rappresenta più di metà di questa percentuale, e l’eolico copre quasi tutto il resto. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, entro il 2026 le rinnovabili rappresenteranno il 95 per cento della nuova energia generata a livello globale.

L’aumento dei prezzi delle materie prime e delle spedizioni stanno facendo aumentare i costi per l’industria delle rinnovabili

Se la percentuale delle rinnovabili rispetto all’energia prodotta complessivamente cresce attualmente del 2 per cento all’anno, quale sarà nel 2026? Il 40 per cento? E nel 2030? Forse il 50 per cento? Sarebbe una vera rivoluzione, con tutto il disordine e gli scossoni che le rivoluzioni comportano.

Naturalmente ci sono molte cose che potrebbero andare storte e stravolgere queste previsioni. I prezzi delle materie prime e delle spedizioni stanno andando alle stelle, incrementando sensibilmente i costi per l’industria delle rinnovabili. Il prezzo del silicio policristallino, usato per produrre panelli solari, è quadruplicato dal 2020. Inoltre potrebbe verificarsi una carenza di materiali che servono a produrre energia pulita, come il litio e le terre rare.

Ma i costi stanno aumentando anche per le fonti d’energia rivali, e finora le rinnovabili hanno mantenuto il vantaggio in termini di prezzi. Dunque la domanda resta valida: cosa succederà se i combustibili fossili entreranno in una rapida e imprevista fase di declino, con la scomparsa di un terzo del mercato attuale entro il 2030 e gran parte del resto nel corso di quel decennio?

Una conseguenza auspicabile sarebbe un declino equivalente nelle emissioni di anidride carbonica, forse abbastanza rapido da permetterci di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi nel corso del prossimo decennio. Questo sviluppo salverebbe la vita di decine di milioni di persone e permetterebbe di risparmiare diverse migliaia di miliardi destinati ad affrontare i danni provocati da incendi, inondazioni e tempeste.

Il risultato negativo sarebbe invece il caos all’interno dei settori che “tramonteranno” troppo rapidamente. Non ci sarà tempo per una transizione e per formare i lavoratori, solo un totale collasso. Possiamo già immaginare una fine simile per i settori dell’industria dell’automobile che non hanno operato la svolta verso l’elettrico, oltre all’intera industria del carbone.

L’industria del gas si avvia verso un rapido declino, mentre quella del petrolio si dividerà tra i pochi produttori a basso costo del Golfo, che resteranno a galla tagliando radicalmente i prezzi, e tutti gli altri, che andranno a sbattere contro un muro. Poi, intorno al 2040, svanirà anche ciò che resta dell’industria petrolifera.

Se non riuscite a immaginare i conflitti geopolitici prodotti da un simile scenario allora non ci state provando davvero. Ma questo è comunque lo scenario più incoraggiante che abbia visto da anni. E se davvero riusciremo a sostituire l’intera infrastruttura energetica globale nel giro di una singola generazione, scongiurando grandi guerre o carestie, sono disposto a rivedere le mie valutazioni sul destino degli esseri umani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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