I ricchi si sono sempre interessati al calcio. L’hanno visto come un investimento, un mezzo per esercitare il loro potere o un giocattolo. In Italia, per esempio, ci sono stati la Fiat con la Juventus, Pirelli, Rizzoli e Berlusconi al Milan, Achille Lauro al Napoli, Angelo e poi Massimo Moratti all’Inter, oltre a Diego Della Valle, Luciano Gaucci e così via. Per vincere c’è bisogno di soldi: per comprare e pagare i giocatori migliori, costruire stadi, attirare i tecnici più blasonati. Il calcio ha sempre funzionato così. È un business, un grande business. Ma questi ricchi hanno sempre avuto un limite al loro potere e ai loro soldi. Non potevano comprare tutti i giocatori del mondo. Dovevano pensare alle loro aziende e tenere conto dell’economia reale, la crisi, i debiti. Ma poi sono arrivati i super ricchi.
Dopo il crollo del muro di Berlino, nell’ex Unione Sovietica c’è chi ha fatto soldi quasi senza limite. Il primo di questa nuova generazione è stato Roman Abramovich. Non capisce niente di calcio, ma nel 2001 compra una squadra di Londra che aveva sempre vinto poco: il Chelsea. Investe molto, moltissimo. Licenzia un allenatore dopo l’altro. E la squadra vince. Coppe e campionati. Ma non riesce a vincere la coppa più importante, la Champions league. Ci va molto vicino nel 2008, ma la squadra perde la finale dopo una scivolata di John Terry sul calcio di rigore decisivo.
E poi nel 2011-2012 succede l’incredibile. Abramovich prende un allenatore giovane e molto costoso, André Villas-Boas. È un disastro. Litiga con tutti i giocatori più rappresentativi: Didier Drogba (all’ultimo anno di contratto), John Terry, Frank Lampard, Petr Cech. La squadra scivola in campionato e perde 3 a 1 in Champions league contro il Napoli. Abramovich licenzia Avb, sostituendolo con il suo vice, l’italiano Roberto Di Matteo. È una rivoluzione.
Di Matteo si fida molto della vecchia guardia, e il Chelsea riesce a rimontare il Napoli e passare il turno. Vincono anche contro il Benfica, ma poi c’è il grande Barcellona. Nessuno, proprio nessuno, dà una possibilità al Chelsea. Di Matteo tira fuori un catenaccio vecchio stile. Tutti dietro e solo uno, Drogba, avanti. Incredibilmente funziona. Drogba segna in contropiede, il Barça spreca. Finisce 1 a 0 in casa. Nella partita di ritorno tutti si aspettano la vittoria del Barcelona di Messi e Guardiola. Il Chelsea comincia malissimo. Prende due gol e il capitano John Terry si fa espellere. Ci vuole un altro miracolo, che arriva. Un gol in contropiede di Ramires, un rigore sbagliato di Messi, e un gol del ritrovato Torres allo scadere. Il Chelsea va in finale contro il Bayern, a Monaco, senza Terry, Ramires, Ivanovic e Raul Meireles (squalificati). Hanno anche un sacco d’infortunati.
Di Matteo schiera un giovane terzino che ha giocato solo sette volte in campionato, e ripropone ancora una volta il buon catenaccio. Il Bayern spreca molto, ma finalmente segna. A due minuti dalla fine, in occasione del primo calcio d’angolo del Chelsea, arriva il vecchio leone Drogba con un grande colpo di testa. Tempi supplementari. Drogba butta giù Ribéry, che sbaglia il rigore.
Si va ai rigori. Cech si tuffa della parte giusta cinque volte su cinque. I tedeschi, che non sbagliano mai ai rigori, sbagliano. Vince il Chelsea, con soli 9 tiri in porta contro i 35 del Bayern. Una vittoria di cuore, tattica, corsa e anche molta fortuna. Abramovich è molto contento. Adesso, per festeggiare, probabilmente licenzierà il vero architetto del trionfo della sua squadra: Roberto Di Matteo. Sì, i soldi contano molto (vedi soprattutto il Manchester City), ma non sono tutto. Il calcio è bello anche per questo, perché può succedere di tutto, proprio di tutto.
Correzione (21 maggio 2012) *Nella versione precedente c’era scritto che è stato Robben a sbagliare il rigore. *
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