Due settimane fa ho preso un treno da Edimburgo a Londra. Era mattina. C’erano dei tifosi di calcio dappertutto. Tifosi dei Glasgow Rangers con tatuaggi, bandiere e striscioni. Qualcuno beveva già qualche birra, ma tutto sommato erano tranquilli. Molto tranquilli. Ma dove andavano?
Ho preso il giornale per guardare. La partita era fra Berwick Upon Tweed e Glasgow Rangers: Scottish Football League. Division three. Perché i grandi Rangers, una società storica fondata nel 1872 e che ha vinto 54 scudetti e più di sessanta coppe (più di qualsiasi altra squadra nel mondo), giocano contro il piccolissimo Berwick Upon Tweed, una squadra con uno stadio che può ospitare solo quattromila persone?
La ragione di questa umiliazione per quei tifosi tristi sul treno, che andavano addirittura in Inghilterra per una partita del campionato scozzese, è molto chiara. L’anno scorso, i Rangers hanno fatto crac. Sono falliti. Hanno dovuto persino cambiare nome, diventando Rfc2012. Tutto questo disastro è diventato chiaro nel 2011, quando il club non riusciva più a pagare le tasse. L’agonia è stata abbastanza lunga, ma molti dubbi rimangono sul passato e sui pagamenti sottobanco ai giocatori.
Alcuni volevano addirittura bandire il club per sempre, ma con tutti i suoi tifosi questa ipotesi era politicamente molto, molto complicata. Alla fine sono stati retrocessi in serie D. Alla squadra serviranno tre promozioni per tornare a giocare il più famoso derby del mondo, l’
old firm, contro il Celtic.
Tutto questo nell’epoca di Manchester City e Chelsea, di Abramovich e dei soldi senza limiti dell’Abu Dhabi united group. Il caso dei Rangers ci dimostra che il sistema calcio non è più sostenibile.
E per capire perché basta leggere il libro di David Conn sulla storia del Manchester City, che ha un titolo molto suggestivo: Richer than God.
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